Processo Noce, in aula i periti dell’accusa «Loris Gagliano voleva fargliela pagare»

«Loris Gagliano non era affetto da alcuna infermità mentale al momento dell’omicidio, pertanto era perfettamente in grado di intendere e di volere». Nel processo d’Appello per l‘assassinio della ventiquattrenne Stefania Noce e del nonno di lei, il settantunenne Paolo Miano, oggi è stato il momento dei due esperti nominati dall’accusa, sostenuta dal procuratore Giulio Toscano. Carla Barile e Angelo Zappalà, psichiatra la prima e criminologo clinico il secondo, hanno spiegato – nel corso di un interrogatorio durato molte ore – un punto di vista diverso da quello dei due periti della Corte, Francesco Bruno e Bruno Calabrese: «Non abbiamo riscontrato nessuna ossessione persecutoria né disturbi della personalità – hanno detto in aula i due esperti – Per questi motivi non concordiamo con la perizia dei colleghi».

Nel corso della scorsa udienza, Bruno e Calabrese avevano dichiarato Gagliano «parzialmente incapace d’intendere e di volere» poiché affetto da un disturbo della personalità di tipo narcisistico e paranoico. Secondo gli specialisti, l’omicidio di Stefania era avvenuto in un momento di furia «causato da un delirio paranoide dovuto a una errata interpretazione della realtà». Era convinto, cioè, che la famiglia di Stefania cospirasse affinché lui e la giovane donna interrompessero la loro relazione. Oggi, però, Barile e Zappalà ribaltano questa tesi: «Non c’è alcun delirio: che la madre di Stefania non vedesse di buon occhio quella storia d’amore è la realtà. Allo stesso modo, quelli che vengono identificati come i deliri di un uomo paranoico, a nostro avviso, sono tutti elementi che di fatto invece esistono». Non erano, quindi, il frutto delle invenzioni di una mente malata, bensì elementi reali. E le azioni da compiere per reagire erano lucide e consapevoli: «Sapeva quello che faceva la sera del 26 dicembre, quando è partito dalla sua casa di Caltagirone per andare a Licodia Eubea, era cosciente che passare la notte fuori avrebbe preoccupato i suoi genitori, quindi ha detto loro, mentendo, che avrebbe dormito da un amico. Entra in macchina con balestra e coltelli, quindi si assume il rischio di compiere un’aggressione», ricostruisce la dottoressa Barile.

«Poco dopo l’arresto, nel corso del primo interrogatorio, Loris Gagliano ha dichiarato di voler spaventare Stefania e la sua famiglia: nell’intento intimidatorio c’è una chiara consapevolezza», prosegue Barile. E continua: «Ai carabinieri lui dice che è successo qualcosa di molto violento, non c’è nessuna frattura con la realtà». «Le emozioni forti – precisa la psichiatra – possono farci perdere il controllo, ma quella non è infermità mentale». Un disturbo mentale, secondo il medico, non si manifesta in un caso isolato – nella fattispecie, l’omicidio – bensì è un fatto «continuativo, che riguarda il modo della persona di rapportarsi con gli altri e con se stesso, alla luce dell’immagine che lui ha di sé».

«Loris Gagliano non è un killer – interviene Zappalà, il secondo esperto dell’accusa – e ci domandiamo tutti com’è che abbia potuto, da un momento all’altro, compiere un gesto così abnorme. È un processo mentale spontaneo, ci diciamo che deve essere per forza pazzo, ma così non è». Ma gli studiosi hanno degli elementi di valutazione in più: «La relazione tra Stefania e Loris era conflittuale, aveva molti alti e bassi. Lui ha scarse capacità di riflettere su se stesso, poca autostima e bisogno di dare agli altri le colpe di ciò che gli succede attorno, da cui deriva il forte risentimento nei confronti di Stefania per l’aver interrotto la loro relazione e nei confronti del suo entourage familiare. Voleva fargliela pagare». E in merito al test di Rorschach, usato da Calabrese e Bruno per confermare la loro tesi, afferma: «Non conosco nessuno psichiatra che lo usi come unico strumento diagnostico».

La discussione, sempre accesa, resta aperta. E salta il proposito di arrivare alla sentenza di secondo grado prima della pausa degli uffici giudiziari di fine luglio. La prossima udienza è fissata per il 22 settembre: toccherà al consulente psichiatrico dell’imputato e a quello delle parti civili.


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«Le emozioni forti possono farci perdere il controllo, ma una patologia psicotica è un'altra cosa». Carla Barile e Angelo Zappalà sono i due consulenti che hanno ricevuto dalla procura di Catania il compito di analizzare lo stato mentale del giovane assassino. E i risultati dei loro esami contrastano con quelli di Bruno Calabrese e Francesco Bruno, i due esperti nominati dalla Corte: «Il ragazzo al momento dell'omicidio era lucido», dicono

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