Quando saremo tutti nella Nord, il libro La storia della curva narrata dal suo leader

«Percorse poche centinaia di metri cominciamo a vedere le file di tifosi catanzaresi in cammino verso la curva. Ci avviciniamo ancora un po’ fino a quando qualcuno, avendoci visto, grida “I Catanesi!”. È la guerra: scendiamo dai pulmini lasciando le portiere aperte e carichiamo accendendo le torce e gli intappamura (bombe carta rudimentali, fatte di polvere da sparo ed una miccia ad autocombustione) tirandoglieli addosso. Molti reagiscono, altri escono dalla curva, noi continuiamo a caricare cinghie in mano. Rispondono tirandoci contro bombe carta e fumogeni. Non c’è servizio d’ordine. Per dieci minuti ci affrontiamo corpo a corpo lanciandoci addosso di tutto. Ad un certo punto irrompe la polizia in tenuta antisommossa, sparando lacrimogeni per aprirsi la strada. Non c’è più possibilità di scontro diretto con i catanzaresi, rischiamo solo di rimanere circondati dai caschi blu. È il momento di risalire sui pulmini, allontanandoci da quella che sta diventando una trappola. Con le portiere ancora aperte riprendiamo la marcia, lanciando contro i blindati della polizia che a sirene spiegate ci vengono dietro altri fumogeni».

Catanzaro, gennaio 1997. Il calcio Catania, dopo la radiazione del 1993 e due promozioni consecutive, ricomincia dalla serie C2. E insieme a squadra e società, è un nuovo inizio anche per gli ultras della curva Nord. Molti dei vecchi capi hanno mollato, c’è chi è passato «ai cugini arribattuti» della nuova realtà Atletico Catania, di Franco Proto. Per chi ha nel cuore solo i colori rossazzurri è un tradimento che non verrà mai perdonato. Michele Spampinato ha 20 anni, è un giovane tifoso divenuto leader di un piccolo gruppo ultras. Si chiamano Decisi, fuoriusciti dal gruppo della Falange. La stampa dell’epoca li descrive come l’ala più facinorosa del tifo catanese. «Il Cibali era diviso per quartieri, noi eravamo un gruppo di amici che venivano da posti diversi e non ci sentivamo a casa in nessun posto della curva. Mentre il resto del tifo attraversava una fase di involuzione, noi ci sentivamo forti, belli e decisi». Da lì a qualche anno Michele diventerà il punto di riferimento della curva Nord, la guida di quello che, come lui stesso spiega, nei primi anni dello scorso decennio diventa «un vero e proprio esercito», riunito sotto un’ideale, A sostegno di una fede. Un percorso lungo, segnato da scontri, diffide, lutti e forti emozioni che Spampinato decide di raccontare in prima persona, insieme al giornalista Luigi Pulvirenti, nel libro Quando saremo tutti nella Nord, che uscirà a fine mese per la casa editrice toscana Eclettica Edizioni. È il racconto di vent’anni di curva Nord e di uno squarcio di storia recente catanese, raccontata per la prima volta da un capo ultrà: dal 1993 fino alle porte della serie A, con le premesse del tragico derby del 2 febbraio del 2007.

Gli scontri di Catanzaro fanno parte della fase iniziale di questa parabola e rappresentano uno snodo fondamentale. «Adesso che, grazie ai risultati positivi del Catania, hanno ripreso a partire anche tanti semplici tifosi l’eco delle nostre azioni si amplia. Ci manca la grande impresa in una trasferta di massa», racconta nel libro. Per i Decisi la prima impresa – cioè i primi scontri dalla forte eco – arriva proprio nel capoluogo calabrese. Ne seguiranno altre, in serie C2 e poi in C1: Nardò, Taranto, Casal di Principe, Messina, Avellino. Fino a Livorno – rivalità che nasce dalle idee politiche: i toscani storicamente di sinistra compagni, i catanesi di destra – e, soprattutto il Palermo. «Siamo abituati a considerarli come un qualcosa che è altro da noi – scrive Spampinato in merito ai rosanero – Non significa che odiamo tutti i palermitani come singole persone, perché nella nostra vita ci è pure capitato di conoscere qualcuno che ci è stato simpatico, e noi lo siamo stati a lui. Ma come popolo, in senso assoluto, non c’è spazio per altri sentimenti che non siano l’odio. È un sentimento nobile: per odiare qualcuno, in fondo, bisogna considerarlo. Altra cosa è l’indifferenza».

Un impianto ideologico che ha come conseguenza la ricerca dello scontro. La stagione 1999 inizia con i gravi fatti del derby valevole per i sedicesimi della coppa Italia di serie C. Si gioca alla Favorita. Quaranta ultras catanesi sono arrivati senza servizio d’ordine fin sotto la curva palermitana. «Cinghie in mano ci facciamo strada, affondando i colpi sui primi tifosi che escono dalla curva richiamati dalle grida e dal fumo delle torce. Poi dalla curva cominciano a riversarsi agli ingressi centinaia di ultras del Palermo, scavalcano il muro di cinta e ci corrono incontro».  Il forsennato inseguimento finisce dentro un ristorante dove è in corso una festa di compleanno. E a farne le spese sono famiglie con bambini. «Cazzo – continua il racconto – Per un attimo si crea un silenzio irreale. I parenti e gli amichetti di questo bambino, che sta spegnendo le candeline, si fermano ad osservarci con aria incredula. Chi sono questi che si sono catapultati dentro come delle furie? Se lo chiedono pure i proprietari e il personale di servizio. “Non vi succederà niente”, ma nel momento stesso in cui lo dico una pietrata si va schiantare contro uno dei vetri alle spalle della tavolata. Scene di panico: i bambini e gli invitati alla festa cercano riparo sotto i tavoli, mentre noi svuotiamo i frigoriferi in cerca d’acqua per ristorarci. Nel frattempo le pietre continuano a piovere una dietro l’altra, insieme alle bombe carta e ai fumogeni accesi e lanciati da dietro la siepe. Ci difendiamo con quello che ci capita a portata di mano: piatti, bicchieri, sedie, bottiglie di vino e di birra». Dopo un’ora abbondante la Celere metterà fine a quella guerriglia.

Vista dall’altra parte della barricata – dal mondo che non si riconosce nella mentalità ultras e anzi la considera incomprensibile e pericolosa, nonché dai dati forniti dal ministero dell’Interno – il percorso di crescita della curva Nord desta allarme e preoccupazione. Mentre Spampinato e il suo seguito compattano gli altri gruppi della curva secondo solidi ideali come «nessun guadagno, nessuna sede, niente rapporti con la società, zero struttura, solo senso di appartenenza e sempre in prima fila», i dati del Centro studi per la sicurezza della polizia descrivono un quadro a tinte fosche. La tifoseria del Catania raggiunge il record d’incidenti a livello nazionale nella stagione 2000/2001. Agli scontri cercati in trasferta, si aggiungono quelli in casa. «Il gruppo non esiste più – scrive nel libro il capo ultrà – domina la massa ma è la massa a dominare sé stessa. Scontrarsi con le tifoserie ospiti, aspettarle al varco, è diventata una cosa normale per tutti, non solo per il nocciolo duro. Andiamo a cercare tutte le tifoserie che arrivano a Catania, a prescindere se ci abbiano fatto qualcosa o meno, perché è un fatto di mentalità. Farci trenta, quaranta, cinquanta chilometri per inseguirle non è un problema. A volte ci spingiamo fino a Villa San Giovanni. Vogliamo che si parli delle nostre azioni. Lo consideriamo un fatto normale, non solo noi: tutti. Un’intera curva è pronta a passare all’azione, come se fosse un fatto di routine».

Spampinato è consapevole del livello di conflitto raggiunto, anche con lo Stato. «Non siamo più il gruppo di esagitati di cui scrivevano qualche anno prima. Adesso siamo considerati l’avanguardia di una curva che desta preoccupazione per la violenza che è capace di produrre, in maniera repentina. Non come fatto limitato a poche decine di persone, ma come fenomeno che ne coinvolge centinaia. Ci hanno individuati come i responsabili e ce la faranno pagare, ne sono sicuro». La risposta non si fa attendere e arriva mentre Enzo Bianco, attuale sindaco di Catania, è ministro dell’Interno. È grazie a lui che nasce, in seno alla Digos, la squadra stadio. La prima in Italia.

Il racconto di Pulvirenti e Spampinato si sofferma sul rapporto speciale con il presidente Angelo Massimino. «Ha amato il Catania più di qualunque altra cosa, gli ha consacrato la sua stessa vita; ha creduto nel fatto che dovesse vivere quando non ci credeva più nessuno». Per questo, il 5 marzo del 1996, il giorno dopo l’incidente stradale che gli costò la vita sull’autostrada Catania-Palermo, quando al Cibali viene allestita la camera ardente, «a sfilare davanti al feretro non è una tifoseria che saluta il suo presidente ma un popolo che rende omaggio al suo capo».

C’è un unico momento in questa veemente e in parte inconsapevole cavalcata, in cui le granitiche certezze di Spampinato sembrano vacillare: è la morte in un incidente stradale di Fabrizio, ultrà che fa parte del gruppo di Librino, con cui, nel tempo, è nato un rapporto di amicizia. È la vigilia della festa di Sant’Agata del 2011, il Catania gioca a L’Aquila. A partire per la trasferta è solo una macchina con cinque tifosi a bordo. Uno di questi è proprio Fabrizio. Gli altri restano in città, perché «Sant’Agata è l’unica cosa che viene prima del Catania». All’altezza dello svincolo di Eboli, sull’autostrada Salerno-Reggio Calabria, l’autista ha un colpo di sonno. La vita di Fabrizio finisce contro un guard-rail. Oggi un murales in piazza Dante lo ricorda. «Ma che cavolo di senso ha morire per andare a vedere una partita di calcio?», si chiede Spampinato nel libro. La stessa domanda che sorge nel lettore di fronte al suo racconto della morte di Tonino Currò, il tifoso del Messina che perde la vita nella finale playoff per la serie B giocata contro il Catania nel 2001. O leggendo dei tanti scontri descritti dal capo ultrà, dove, per sua stessa ammissione, spesso si rischiava la pelle.

Quando saremo tutti nella Nord si ferma alle porte della serie A. Quello che succederà dopo non trova spazio nel libro. Tuttavia l’ombra del tragico derby contro il Palermo del 2 febbraio del 2007, pur non venendo mai menzionato, si allunga sull’ultima parte del racconto. «È il momento dello smarrimento della curva, che diventa talmente forte da non poter più essere gestita», ammette Spampinato. «La curva Nord sta diventando una pentola a pressione, che dobbiamo tenere sotto controllo – racconta – Perché sono in molti ad essersi avvicinati al movimento, negli ultimi tempi, e tra questi quelli per cui andare allo stadio è una moda. Una occasione di sballo, che attira tanti ragazzini di famiglie benestanti in cerca solo di un porto franco per sballarsi senza rotture di scatole. […] Sono un pericolo, per loro stessi e per noi. […] Mi rendo conto che dobbiamo tenere gli occhi sempre aperti, perché quando un fenomeno diventa di massa controllarlo è veramente complicato». È la lucida veggenza di un leader che capisce che la creatura che lui stesso ha plasmato su certe idee e con determinate esperienze sta diventando un mostro fuori controllo. È il preludio al 2 febbraio, che Spampinato vive da dentro. «Ero in curva a cantare come sempre. Quella sera non ha funzionato il servizio d’ordine, eravamo molti di più rispetto a quanti la curva poteva contenere».

Il 29 marzo del 2015 Michele Spampinato riprenderà il suo posto in curva dopo 6 anni di Daspo. Il provvedimento restrittivo è scattato per gli scontri contro i tifosi dell’Atalanta, nella trasferta di Bergamo del 2009. «Aspetto questo momento da tanto tempo e lo aspettano in tanti – afferma – Troverò una curva molto diversa, le norme sono cambiate. Da dove ricomincerò? Non lo so, intanto spero di riconquistare i vecchi, quelli di 35-40 anni che si sono allontanati in questi anni. Ripartire da lì è fondamentale e la serie B – conclude – può aiutare in questo senso. Sarà un campionato bellissimo».

 

[Foto di Quando saremo tutti nella Nord]


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