L’etica protestante e lo spirito del Catania Analisi di un esordio tra egoismi e speranze

Il filosofo tedesco Max Weber ipotizzava un collegamento tra l’idea — tipicamente protestante — che il destino di ogni uomo, e più precisamente della sua anima, sia già scritto, dall’eternità, nella mente del Creatore; e lo spirito concreto, attivo e intraprendente che ha portato, in certe parti d’Europa, alla precoce affermazione del capitalismo, all’accumulazione di ragguardevoli patrimoni e, in ultima analisi, allo sviluppo economico dell’Occidente. Un nesso strettissimo e paradossale tra etica protestante e spirito del capitalismo: come se coloro che credevano nella predestinazione — e dunque nell’inutilità di ogni umano sforzo a raggiungere la salvezza — avessero poi trovato nel successo economico un compenso al timore di rimanere chiusi fuori dal Paradiso; come se uno si mettesse freneticamente a far soldi non tanto per goderseli in questo mondo, quanto per leggere in essi un’anticipazione, un segno, un presagio, della predilezione che il buon Dio non mancherà di accordargli nel regno dei cieli.

Ammetto senz’altro che la tesi di Weber abbia implicazioni della massima importanza. Ma mi sento lo stesso di affermare — dopo aver visto l’esordio stagionale del Catania (3-3 al Massimino contro il Lanciano) — che questa tesi è falsa. O perlomeno, che essa non può trovare riscontro alle nostre latitudini. E men che meno può essere applicata al campionato di serie B.

Scorriamo i titoli dei giornali sportivi di quest’estate: troveremo un po’ dovunque la convinzione che il Catania sia la squadra da battere, con un organico superiore alla categoria e, secondo alcuni, destinata in partenza ad ammazzare il campionato. E ripercorriamo, poi, le azioni della partita di ieri contro il Lanciano: ci troveremo la prova che il sentirsi predestinati produce, nel calcio, effetti ben diversi da quelli osservati da Weber nella sfera economica. Non stimola per niente quello spirito attivo, quella concreta oculatezza senza la quale non si costruisce nessun successo. Ma piuttosto induce a sperperare quanto di buono si riesca a produrre; o addirittura a pretendere che il successo ci piova dall’alto, ci si attacchi alla pelle per diritto divino; dimenticando che esso non viene mai da solo, e va conquistato da ciascuno con il proprio sudore.

Ho infatti l’impressione che, nella testa di alcuni giocatori del Catania, si aggiri un pericoloso retropensiero. Che ci sia in qualcuno la spocchia di chi si sente sprecato in serie B, e gioca dunque con la convinzione che questa categoria sia per lui un immeritato purgatorio, dal quale è destino che ci si debba tirar fuori in fretta. Temo proprio che qualcosa del genere si nasconda tra i pensieri di Gino Peruzzi, il nostro difensore esterno che gioca sulla fascia destra. Ieri sera lo abbiamo visto allentare dissennatamente il controllo sul suo diretto avversario (un certo Leonardo Gatto). E giocare con tanta sventata leggerezza, prima, da causare un rigore con uno sciocco fallo di mano da terra; e poi da costringere il portiere Terracciano a causarne un altro, sempre per fermare Gatto che gli si era presentato davanti indisturbato.

E temo che un retropensiero del genere si aggiri anche nella testa dell’esterno sinistro d’attacco Lucas Castro. Un giocatore che due anni fa — quando in Italia quasi nessuno lo conosceva — fu tra i migliori protagonisti della più bella stagione del Catania in serie A. Ma che dall’anno scorso non fa che incaponirsi in narcisistici dribbling e compiaciute azioni personali, quasi sempre del tutto inutili alla squadra. Se ieri sera Castro avesse guardato un pochino al di sopra dei lacci delle sue scarpe, avrebbe potuto facilmente mandare in porta compagni meglio piazzati di lui, anziché cercare ripetutamente il gol con presuntuosi tiri da lontano. E il fatto che, su una sua giocata, ci sia scappato il rigore per noi non cambia la sostanza delle cose: bisogna spiegare e Castro che, alla costruzione del successo rossazzurro — e l’unico successo possibile, quest’anno, sarebbe tornare in serie A — niente può essere più dannoso che questa compiaciuta egolatria, quest’aria di nobiltà ingiustamente offesa che alcuni giocatori si portano in campo. Altro che ammazzare il campionato. Altro che predestinazione.

Non dirò, certo, che ieri sera sia andato tutto storto. Abbiamo pur visto una squadra capace di segnare tre gol. Abbiamo pur ammirato giocatori bravi e umili come Rosina o come Rinaudo. Abbiamo anche visto il gol di un centravanti — Calaiò — che dà l’impressione di saper veramente giocare a pallone. E comunque abbiamo visto il Catania reagire alle avversità, ribaltare il risultato dopo essersi trovato in svantaggio. Solo che poi abbiamo buttato via tutto, per quella spocchia da primi della classe. E a partita finita ci si è messo pure Calaiò, che si è fatto espellere dall’arbitro quando ormai c’era solo da imboccare il tunnel che porta agli spogliatoi.

Così, ora, ci toccherà giocare un paio di partite rinunciando all’unica prima punta affidabile del nostro organico. Magari sperando di scovare nella panchina risorse finora nascoste. Oppure adattando al ruolo giocatori come Leto, che del centravanti vero hanno ben poco. E a qualcuno potrebbe sembrare di rivedere certi copioni dell’anno scorso…

Solo che nel calcio, per fortuna, la predestinazione non esiste, e molto è lasciato al nostro libero arbitrio. Non esiste la predestinazione, salvo che per una dettaglio: la data di chiusura del calciomercato. Il quale finirà inesorabilmente tra poche ore, alle 23 del primo settembre.


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