Consorzi, Niscemi e P.zza Armerina al voto a Catania, ma l’affluenza è un flop

Che i partiti siano in crisi è diventato ormai un luogo comune. Eppure spesso sono gli stessi esponenti politici a metterci del proprio. Prendiamo il caso del referendum consultativo di ieri, col quale i comuni di Niscemi e Piazza Armerina hanno detto sì all’adesione al libero consorzio facente capo a Catania. Manifestando così l’intenzione di staccarsi rispettivamente dalle province di Caltanissetta ed Enna. Le percentuali dei votanti sono state bassissime. A Piazza Armerina i sì, cioè l’83 per cento dei votanti, sono stati 4mila e 86 mentre coloro che hanno espresso il proprio no sono stati 336. Meno delle schede bianche o nulle, a quota 483. Il dato dell’affluenza insomma è piuttosto misero: considerando un totale di oltre 18mila aventi diritto, siamo intorno al 22 per cento. Peggio delle ultime elezioni europee del 25 maggio quando a votare era andato il 36 per cento degli elettori.

Va ancora peggio a Niscemi, dove è andato a votare praticamente un elettore su dieci: solo 2mila e 539 le persone che si sono recate alle urne, a fronte di 25mila iscritti nelle liste del Comune del Muos. Non sembrava neanche giornata di voto, dicono in tanti. Un insuccesso che non sembra colpire il Partito Democratico di Niscemi, che in un comunicato preferisce concentrarsi «sull’esito del referendum che ha visto la quasi totalità dei votanti esprimersi per il sì». Anche il sindaco di Niscemi Francesco La Rosa, ai microfoni dell’emittente locale Canale10, si dice «soddisfatto dei numeri». Nonostante avesse pronosticato nei giorni addietro un’affluenza almeno del 30 per cento.

Al di là dell’affluenza, diventano al momento tre i Comuni siciliani ad aver completato l’iter per aderire ai libero consorzio etneo: Niscemi e Piazza Armerina si aggiungono a Gela. Una scelta delle amministrazioni prima che dei cittadini, motivata dalla legge votata all’Ars l’11 marzo 2014 che istituisce non solo i liberi consorzi ma anche le città metropolitane di Palermo, Catania e Messina. L’ipotesi ancora in ballo è la formazione di un altro libero consorzio a sud della Sicilia, a cavallo delle ex tre province di Catania, Enna e Ragusa. Tanto che al voto potrebbero arrivare presto anche Mazzarino ed Acate.

L’ipotesi del consorzio gelese ha alimentato l’attivismo del Comitato per lo sviluppo dell’area gelese, un organismo composto da una quarantina di associazioni che da anni si batte per istituire prima la provincia e adesso il libero consorzio. E il referendum apripista, svoltosi a Gela il 13 luglio scorso, nonostante una grande campagna a favore del voto, aveva prodotto solamente un’affluenza del 36 per cento. Con un plebiscito pressoché totale del 99,2 per cento dei votanti che si erano espressi favorevolmente. Secondo Filippo Franzone, presidente del Comitato per lo sviluppo dell’area gelese, restare in quello che dovrebbe essere il libero consorzio nisseno ma senza Gela e Niscemi sarebbe un autogol, «con poche prospettive di sviluppo e destinato a ridimensionare i propri servizi», ha dichiarato l’esponente del comitato al Corriere di Gela.

Il condizionale però è d’obbligo. Pochi giorni fa ha scatenato polemiche una dichiarazione dell’assessore regionale agli Enti Locali Patrizia Valenti, non confermata ma nemmeno smentita dal presidente Rosario Crocetta, ex sindaco di Gela: «Il referendum non è valido perché era necessario raggiungere il quorum, come previsto dallo statuto del Comune». Affermazioni rispedite al mittente dal sindaco Angelo Fasulo. «Non è così – ha replicato – abbiamo consultato tanti costituzionalisti che hanno confermato che il referendum per i liberi consorzi è valido anche senza il quorum dei votanti».


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