Muos, nel 2013 impiegati settemila agenti In un anno forze dell’ordine decuplicate

«Si sottolinea – a scrivere è il prefetto di Caltanissetta Carmine Valente – che tutto l’apparato preposto al mantenimento dell’ordine e della sicurezza pubblica è stato impegnato pressoché in modo continuo e che il commissariato e la stazione dei carabinieri di Niscemi sono stati coinvolti in modo prevalente dalla problematica». Per chi dovesse leggere queste righe e non fosse siciliano sarebbe facile pensare ad una parolina: mafia. Invece l’attenzione costante delle forze dell’ordine del Nisseno ed in particolar modo della cittadina di Niscemi è stata rivolta alla difesa del Muos.

Qualche giorno fa il Movimento No Muos Sicilia ha pubblicato, sui propri account Facebook, uno screenshot che mostra i numeri dell’impiego di forze dell’ordine messe a vigilanza del cantiere del Muos e di tutta la base. Oltre 7mila agenti durante il 2013, l’anno del boom delle contestazioni all’impianto militare di proprietà della Marina Usa. Poi ci hanno pensato i militanti catanesi di Officina Rebelde a linkare l’intero documento da cui era tratta la foto.

Il 21 marzo 2014, sui tavoli della commissione Igiene, Sanità e Ambiente del Senato della Repubblica, arriva la relazione sul Muos del prefetto di Caltanissetta Carmine Valente. Nelle introduzioni si ribadisce che «il programma Muos è gestito dal ministero della Difesa degli Stati Uniti e prevede la messa in orbita dei satelliti entro il 2015». Per il passaggio della gru l’11 gennaio 2013, data importante per gli sviluppi del movimento che da allora vide una crescente solidarietà e le prime attenzioni, «sono stati impegnati 100 uomini del reparto mobile e tutte le forze disponibili sul territorio». Nel prosieguo dell’analisi il prefetto prende alcune cantonate. Ad esempio quando scrive che «la relazione dell’ISS (che convinse Crocetta alla famosa revoca della revoca ndr) promuove di fatto la realizzazione del sistema Muos di comunicazione satellitare» o quando aggiunge che «gli esperti dell’Istituto sostengono che sia più pericoloso il più vicino Petrolchimico di Gela».

Nulla di tutto questo: gli esperti dell’ISS non solo nelle conclusioni scrissero a chiare lettere che il parere era meramente scientifico e «non valido a fini autorizzativi», ma che il territorio era già pesantemente inquinato dal petrolchimico di Gela (in realtà Raffineria da più di 20 anni) e che era impossibile scindere ed individuare le singole cause inquinanti. Inoltre il prefetto Valente omette di raccontare la propria opera di mediazione nell’infuocato aprile 2013, come testimoniato dalla intercettazioni pubblicate da Anonymous a giugno 2013, quando fu egli stesso a suggerire il modo per superare l’empasse all’indomani della revoca delle autorizzazioni che tanto fastidio diede agli americani, e delle crescenti mobilitazioni popolari poi culminate con la prima invasione della base.

Nel prospetto in allegato si nota che se tra il settembre e il dicembre 2012 le forze dell’ordine a tutela del Muos erano 792 a fine 2013, con l’anno di vera esplosione del movimento No Muos, i numeri sono decuplicati: ben 7.349 uomini. «Ci fa veramente specie notare – scrive Officina Rebelde – che in una regione che ha un tasso di disoccupazione enorme, dove sempre più persone vivono sotto il tasso di povertà, dove esiste un elevatissimo tasso di dispersione scolastica, dove c’è un’emergenza mafiosa e un diffuso fenomeno di corruzione tra le classi dirigenti, dove non esiste nessuna politica di accoglienza nei confronti di migliaia di disperati che approdano sulle nostre coste, si trovino i soldi per impiegare più di settemila funzionari pubblici per difendere un’opera che rappresenta una grande devastazione ambientale e una base che dal 1992 irradia Niscemi di elettromagnetismo nocivo».


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In una relazione del prefetto di Caltanissetta Carmine Valente si apprende che 7.349 agenti sono stati impiegati nel 2013 a difesa del discusso impianto satellitare Usa. Nel 2012 erano stati 792. Non solo dati controversi, ma pure omissioni e informazioni errate sulla relazione dell'Istituto superiore di sanità. «In uno stato migliore, quelle risorse sarebbero state sfruttate per opere di progresso sociale», scrivono gli attivisti

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