In aula Di Grazia, accusato di aver ucciso la moglie Tanti «non ricordo» tra sceneggiate, soldi e infedeltà

«Un magistrato, abile figlio d’arte, mi tiene da due anni in uno stato che deteriora il mio essere». Inizia con la lettura di una lettera – indirizzata alla Corte presieduta dal presidente Rosario Cuteri – fatta di accuse e allusioni l’audizione di Salvatore Di Grazia, l’uomo accusato di omicidio volontario e occultamento di cadavere della moglie Mariella Cimò, scomparsa dalla villa di San Gregorio di Catania il 25 agosto del 2011. Oltre quattro ore di mancate risposte con tanti «non ricordo» e «può essere» in cui non sono mancati diversi momenti di alta tensione con il pubblico ministero Angelo Busacca. Quando l’imputato chiosa a un interrogativo dell’accusa con «Questa è la domanda di Giufà», la replica non si fa attendere: «Procederemo nei suoi confronti per oltraggio a pubblico ufficiale». Dopo una sola apparente pausa distensiva il motivo conduttore non cambia. A susseguirsi sono le continue contestazioni mosse dall’accusa a quelle che sono state le differenti versioni dei fatti fornite da Di Grazia a partire dalla denuncia della scomparsa della moglie, risalente al 5 settembre 2011, fino all’interrogatorio di garanzia del 26 gennaio 2012.

Attualmente ristretto agli arresti domiciliari, Di Grazia ripercorre in aula quella giornata di fine agosto in cui si sviluppò il litigio con la moglie e la conseguente scomparsa: «Non ricordo l’orario preciso in cui uscii di casa, andai al nostro autolavaggio per riflettere sul da farsi». Proprio sull’attività di famiglia, l’amore della moglie per i cani e gli spostamenti di quella mattina si concentrano numerosi spunti investigativi. Le telecamere del vicino di casa, infatti, immortalarono Di Grazia far rientro a casa quattro volte con la propria autovettura. A catturare l’attenzione è però la presenza di una grossa vasca sistemata sopra il veicolo, «serviva ad alcuni cani per sciacquarsi – spiega l’imputato – la presi perché era stata una richiesta di mia moglie». Una versione dei fatti che contrasta con quelle precedenti che l’uomo ha fornito al momento della denuncia in cui raccontava di un rientro avvenuto soltanto in serata. «Non ne parlai prima perché non mi sentivo inquisito o indagato» si giustifica.

Oltre alle telecamere, a fornire spunti su questa vicenda sono alcune intercettazioni ambientali. Il 2 novembre 2011, a quasi due mesi dalla denuncia della scomparsa, Di Grazia risponde a una persona, non identificata, che chiede sul suo stato d’animo. «Lei – spiega Busacca riferendosi all’imputato – disse che non iniziava il periodo di lutto ma la campagna della vagina». «Può darsi – replica Di Grazia – che io le abbia pronunciate ma con un senso diverso». A fare da sfondo al processo ci sono i rapporti extraconiugali che l’uomo consumò in un locale attiguo all’autolavaggio e le presunte frequentazioni con due donne. «Può darsi – racconta – che qualche volta portai delle donne nell’appartamento antistante l’autolavaggio. Gli incontri avvennero prima durante e dopo la scomparsa di mia moglie».

Tra il 24 e il 26 agosto, il telefono del marito di Mariella Cimò diventa bollente. Telefonate e squilli da parte di Pina Grasso, donna delle pulizie finita nel frattempo imputata per favoreggiamento a Di Grazia, con cui lo stesso ha oggi escluso la consumazione di rapporti sessuali. «Il motivo – svela l’imputato – era che alla signora scadeva la polizza di un impegno che aveva e mi chiese un prestito di soldi. I contatti furono parecchi». I due vengono intercettati anche il mese successivo alla denuncia della scomparsa all’interno della caserma dei Carabinieri di San Gregorio. Le telecamere immortalano l’uomo che avvicina l’indice alle labbra, mimando il segno del silenzio, a cui risponde la donna avvicinando i polsi. «Era preoccupata perché i militari avevano detto che se non si diceva la verità finivamo tutte e due in carcere, ma io le dissi solo di stare zitta perché già preoccupato».

Di Grazia in aula ha più volte corretto le parole del pm: «Non parlate di scomparsa ma di allontanamento». Mariella Cimò, come dimostrato dalle riprese video, non è però mai uscita dall’ingresso principale della villa ma nemmeno dal retro. Un dirupo impervio con una consistente quantità di sterpaglia e rovi che ha impedito anche agli investigatori l’accesso in un apposito sopralluogo. Per Di Grazia, però, i carabinieri avrebbero fatto una «sceneggiata».


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