Sant’Agata per un catanese col sacco «Festa rinnovata, ma ancora figlia di pregiudizi»

In questi giorni ci prepariamo ai festeggiamenti della nostra santa patrona, una festa che coinvolge Catania intera, una festa che nonostante sia la terza per partecipazione popolare nel mondo pare essere poco conosciuta e figlia di pregiudizi. Le cronache locali in questi giorni non fanno altro che informarci sulle presunte infiltrazioni mafiose, sul fatto che alle maniglie c’è il fratello di un presunto mafioso, in qualche modo oscurando altre realtà anch’esse presenti e forse preponderanti. Intendiamoci non si devono chiudere gli occhi davanti ai fatti, ma la realtà va osservata nella sua interezza, accostando agli aspetti negativi anche i molti aspetti positivi che di essa fanno parte. Il cordone non è il regno dell’illegalità, frequentato da mafiosi e malandrini di ogni sorta che girano armati sotto il sacco e chiedono alla Santa le grazie più disparate.

Il tanto vituperato circolo Sant’Agata – nato nel 1874 per volontà di Dusmet, lo stesso che disse «finché avremo un panettello lo divideremo con i poveri» – ad esempio si segnala per molte iniziative lodevoli, ma fa più scena parlare delle tessere n.1 e n.2. Parliamo degli arrusti e mangia, parliamo dei torronari, parliamo dei ceroni, ma per un attimo vogliamo parlare del carico di speranza, di fede, di attaccamento alla nostra Santa. Vogliamo cercare di capire perché giorno 4 migliaia di persone si alzano alle 4 di mattina e si riversano in chiesa con gli occhi lucidi all’uscita della Santa. Vogliamo parlare di tutti coloro che per due giorni non vivono per stare vicino alla Santuzza esponendosi a ritmi massacranti, chiedendo aiuto e forza, la stessa che ha avuto questa giovinetta di 14 anni nel non piegarsi di fronte a qualcosa immensamente più grande di lei.

Vogliamo parlare degli amici del Rosario che passano nel cordone recitando il Rosario e cantando l’inno, vogliamo parlare di quella parte sana (la maggior parte) della festa che si raccoglie attorno alla sua patrona. Vogliamo parlare del percorso di rinnovamento della festa iniziato in sordina da monsignor Barbaro Scionti, che ogni anno ha introdotto piccoli, ma sostanziali cambiamenti che stanno pian piano riportando il cordone ad una dimensione più religiosa, al recupero delle antiche tradizioni. Forse non tutti sanno che i membri deputati a ricoprire dei ruoli nei festeggiamenti sono tenuti a seguire un percorso di educazione spirituale tenuto in cattedrale e questo fa parte delle novità introdotte dalla Curia, e che nel tempo sta dando i suoi frutti.

Vogliamo dire che oggi il cordone accetta tutti, come è sempre stato, ma guarda con severità certi atteggiamenti e quindi «il delinquente col sacco» non è cacciato, ma si sente a disagio, comprende che quello non è il suo posto, e nel comprenderlo esiste una possibilità di redenzione e di accoglimento da parte degli altri devoti che non giudicano, ma accolgono, e su questa accoglienza si giocano tutte le carte per il futuro, per far sì che le nuove generazioni conoscano questa dimensione sana della festa e la proseguano.

Ecco io vorrei che attorno alle sacrosante denunce, ci fosse spazio anche per esaltare quanto di positivo c’è attorno a questa festa, quanto di positivo è capace di suscitare questa giovane donna, archetipo di femminicidio, morta con dignità e assurta agli onori dell’altari con la semplicità di chi crede in ciò che fa e con serenità affronta il suo destino con ed umiltà insieme fierezza. Quante delle persone che gettano fango sulla festa hanno letto gli atti del martirio? A coloro che parlano senza conoscere, che giudicano senza partecipare, dico di partecipare, di andare in cattedrale ogni giorno e vedere quanta gente davanti a i cancelli racconta la sua giornata alla Santuzza, chiede consiglio o si raccomanda. Agli scettici disfattisti capaci di vedere soltanto le infiltrazioni mafiose chiedo di guardare negli occhi questa Santa, catanese come noi e prenderla come modello di vita retta, non curandosi di quello che fanno gli altri, ma provando per quanto possibile di seguirne l’esempio.

Cittadini viva Sant’Agata.

Mario Giovanni Francese, un devoto come tanti. 


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Si firma «un devoto come tanti». Mario Giovanni Francese racconta il suo rapporto con la patrona. «Agli scettici disfattisti capaci di vedere soltanto le infiltrazioni mafiose chiedo di guardare negli occhi questa Santa, catanese come noi - scrive - e prenderla come modello di vita retta, non curandosi di quello che fanno gli altri, ma provando per quanto possibile di seguirne l’esempio»

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