Naufragio, gli altri due scafisti sarebbero morti Jafar il grande direttore, il misterioso capo libico

Dovranno restare nel carcere catanese di piazza Lanza, Mohammed Alì Malek e Ahmud Bikhit, i due uomini accusati di essere gli scafisti del peschereccio naufragato a 77 miglia dalle coste italiane in cui avrebbero perso la vita circa 800 migranti, la notte del 18 aprile. A convalidare il fermo è stata il giudice per l’indagine preliminare Rosa Alba Recupido nell’ambito dell’incidente probatorio chiesto dalla procura di Catania. Al vaglio degli inquirenti ci sono le testimonianze di quattro superstiti tra cui due minori. La complessità degli interrogatori sta richiedendo tuttavia più tempo del previsto, motivo per cui si proseguirà anche durante la prossima settimana. Il procuratore capo Giovanni Salvi ha inoltre aggiunto che con ogni probabilità verranno sentiti altri cinque testimoni. 

Emergono intanto nuovi particolari sulla traversata in mare finita in tragedia. A far parte dell’equipaggio, oltre al comandante tunisino Alì Malek e al responsabile siriano della sale macchine Bikhit, ci sarebbero stati altri due uominiA riferirlo questa mattina è stato il primo testimone sentito, che «si è soffermato sul colore della pelle e sull’altezza», ha spiegato l’avvocato Giuseppe Ivo Russo, difensore del siriano Bikhit. «Certamente ci saranno state altre persone a bordo tra l’equipaggio – ha rivelato in conferenza stampa Salvi -, ma credo di poter escludere che siano tra i superstiti». La mansione di questi nuovi componenti, che potrebbero essere di nazionalità somala, sarebbe stata quelle di controllare i vari livelli del peschereccio, tre per l’esattezza, in cui erano stati rinchiusi a chiave i migranti, tra cui centinaia di donne e alcune decine di bambini. 

A fare da comandante, l’accusato numero uno, il tunisino Alì Malek. L’uomo a cui viene contestata anche l’aggravante della disponibilità di armi, sarebbe stato munito di un bastone e una pistola che avrebbe utilizzato durante la traversata per mantenere l’ordine a bordo. Nella dotazione anche un telefono satellitare che, secondo le testimonianze, sarebbe stato utilizzato per interloquire con l’organizzatore del viaggio. Forse la mente dell’organizzazione transnazionale che si occupa del traffico di essere umani. Un misterioso libico appellato con il nome di Jafar o con quello di «grande direttore». 

Di nazionalità libica sarebbero stati anche gli intermediari che hanno richiesto e incassato dai migranti somme variabili tra 500 e mille dinari per il viaggio. Nella lunga testimonianza di questa mattina sono state scandagliate tutte le tappe del viaggio che, prima di attraversare il canale di Sicilia, avrebbe fatto tappa all’interno di una fattoria. All’interno di questi locali uomini, donne e bambini sarebbero stati stipati alcuni per settimane, altri per diversi mesi, impossibilitati a muoversi perché sorvegliati a vista da uomini armati. Il trasporto con ogni probabilità è avvenuto con delle autovetture nelle ore notturne a gruppi di cento fino alla spiaggia. Dalla battigia i trafficanti si sarebbero serviti di uno o più gommoni per il trasbordo sopra il peschereccio poi partito alla volta delle coste italiane. Senza mai giungervi. Un viaggio lungo e pieno di stenti in cui si sono perpetrati numerosi episodi di violenza, in alcuni casi culminati con bastonature e decessi. Ai migranti per sfamarsi, secondo la testimonianza di oggi, sarebbe stato dato soltanto pane e acqua in dosi ridotte da dividere a gruppetti di tre. 

Sul fronte difensivo, gli avvocati Ferrante e Russo, hanno sollevato il difetto di giurisdizione per la trattazione della posizione dei loro assistiti, richiesta che tuttavia non è stato accolto dal giudice. La posizione più delicata è proprio quella del presunto comandante accusato di omicidio colposo plurimo e favoreggiamento dell’immigrazione con l’aggravante di aver dato un contributo a un gruppo criminale organizzato con base in Libia e Italia.

Intanto è giunto oggi pomeriggio al porto di Palermo il mercantile battente bandiera portoghese King Jacob, il primo che ha prestato soccorso ai migranti vittime del naufragio di sabato scorso. L’equipaggio è formato da 18 uomini di origine filippina, compresi il comandante, Abdullah Ambrousi Angeles, e il suo secondo Lara Allan Escamillas. La polizia giudiziaria è salita a bordo e ha identificato i componenti. Poi il comandante e il suo vice sono scesi dal portacontainer e sono saliti su un’auto della polizia. Il procuratore Salvi ha ribadito oggi che a carico del King Jacob non c’è nessuna indagine. «Nessuna responsabilità per il capitano del cargo che ha collaborato per molte ore al recupero dei naufraghi».

L’armatore del mercantile, che rimarrà fino a lunedì ancorato al molo Puntone di Palermo, ha chiesto eccezionali misure di sicurezza: guardie armate sosteranno in banchina per evitare che qualcuno si avvicina all’imbarcazione. In queste ore intanto, l’equipaggio, rimasto profondamente scosso per quanto accaduto, avrebbe richiesto assistenza psicologica e spirituale. A bordo sono quindi saliti un prete, Mario Fugazza, originario di Legnano, e la psicologa palermitana Valentina Vegna. A loro si è aggiunto un interprete. 


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