Glauco II, tratta dei migranti da Catania a Monaco «Meglio lasciarli in stazione, così i genitori pagano»

«Ho sbagliato a portarli a casa, dovevo lasciarli alla stazione di Catania e a quel punto sì che i loro genitori avrebbero pagato». Muktar Hussein, eritreo di 22 anni, è uno degli uomini fidati del grande capo, Asghedom Ghermaycolui che gestiva la tratta di migranti nel territorio etneo, con base al Cara di Mineo. Intercettati dagli investigatori nel corso delle indagini dell’operazione Glauco II, Muktar, residente stabilmente a Catania, in pieno centro storico, si lamenta perché i soldi tardano ad arrivare. Si tratta del viaggio di due fratelli che devono andare a Roma. L’organizzazione ha chiesto 200 euro per proseguire il viaggio fino alla capitale, ma i genitori dei due malcapitati frenano. La somma gli sembra eccessiva, forse non se la possono permettere. «Dovevo lasciarli lì alla stazione», si sfoga Muktar col suo capo. 

È quest’ultimo, detto Amiche, che raccoglie i migranti da far partire. Questi, ancora prima di arrivare in Sicilia, sanno che nell’isola troveranno una nuova rete di contatti che li aiuterà a raggiungere il Nord. Quello che non sanno è che dovranno pagare ancora molti soldi e, se non lo faranno, verranno sequestrati per giorni. Finché qualcuno, parenti o amici, verserà i soldi per la loro liberazione. Muktar Hussein era sfuggito al blitz dello scorso 20 aprile che ha portato all’arresto di 16 persone, mentre altre otto sono latitanti. Oggi il 22enne eritreo si è consegnato alla polizia di Catania. Il suo ruolo sarebbe stato quello di prelevare i migranti subito dopo gli sbarchi, tenerli nascosti e farli partire.

Dall’altra parte dell’Italia, l’organizzazione poteva contare su altri appoggi. È il caso di Mudeser Mahamed Omer, 19 anni, anche lui eritreo, che operava a Milano. Città dove oggi si è costituito. Omer, chiamato anche Wedi Ghindae, era uno degli uomini della cellula lombarda, capace, come emerge dalle intercettazioni, non solo di muoversi in quasi tutti il centro e nord Italia ma anche di attivare nuove basi all’estero, in particolare in Svizzera e in Germania, a Monaco di Baviera. I migranti, al solito, venivano inviati dalla Sicilia, ma anche da altre parti d’Italia, come Bari e a tirare le fila sarebbe stato sempre Asghedom.

Wedi Ghindae aspettava i suoi clienti alla stazione centrale di Milano o in qualche fermata della metropolitana. Poi, anche in base alla loro disponibilità economica, sceglieva il mezzo con cui farli partire per il Nord Europa. Se potevano permetterselo, metteva a disposizione un’auto, altrimenti li guidava verso il treno. Ma anche in quest’ultimo caso, traeva guadagni facendo la cresta sull’acquisto dei biglietti che venivano a costare molto di più. Sui pagamenti era molto rigido: fino a quando i suoi complici non versavano i soldi pattuiti, non faceva riprendere il viaggio.  

Omer, così come il capo Asghedom, sarebbero stati tuttavia consapevoli di non poter alzare troppo il tiro. Dalle intercettazioni traspare la preoccupazione di perdere clienti a causa della concorrenza, cioè di molte altre organizzazioni che si occupano dello stesso mercato. Il prezzo da far pagare, quindi, deve essere più o meno allineato a quello degli altri. In particolare da una telefonata tra Wedi Ghindae e Ghermay si parla di come raggiungere la Svezia. Il referente milanese dell’organizzazione dice che sarebbe meglio utilizzare l’aereo, il capo risponde che non si può fare trattandosi di minori. Omer, allora, propone di attivare un suo contatto a Monaco di Baviera che avrebbe potuto accompagnarli fino al Paese scandinavo. 


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