«Ma la Sicilia ama chi vuole svegliarla»

Sono passati quindici anni dalla strage di Via D’Amelio. Quindici anni di vittorie importanti sulla mafia, ma anche di verità che non riescono a trovare porti pronte ad ospitarle. Il 19 luglio del 1992 il Giudice Paolo Borsellino finì inghiottito nella spirale di violenza mafiosa che sconvolse una terra, la Sicilia, un popolo, una nazione intera. Ma quindici anni dopo sono ancora insoluti i misteri che avvolgono quell’eccidio. Salvatore, fratello di Paolo, nel giorno del ricordo, ha scritto così in una lettera aperta: “Di quante altre stragi, di quanti altri morti avremo ancora bisogno perché da parte dello Stato ci sia finalmente quella reazione decisa e soprattutto duratura, come finora non è mai stata, che porti alla sconfitta delle criminalità mafiosa e soprattutto dei poteri, sempre meno occulti, a essa legati?”. Step1 ha intervistato la dottoressa Rita Borsellino, sorella di Paolo, anche lei in cerca di verità.
 
 
Dottoressa Borsellino, qualche giorno fa suo fratello Salvatore ha scritto una lettera aperta dove parlava dell’immutato desiderio di verità a 15 anni dalla morte di Paolo. Quanta speranza e quanta, invece, disillusione c’è in lei?
Anch’io questa verità la chiedo e la aspetto da 15 anni. Ci sono troppi lati oscuri attorno alla morte di Paolo, a cominciare dalla sparizione dell’agenda rossa da via d’Amelio. Mi chiede quanta speranza e quanta disillusione ci sia in me. Le confesso che è difficile rispondere. In questo periodo mi sento molto stanca. Stanca di attendere una verità che pare affiorare e che poi di colpo torna ad inabissarsi. Ma non ho alternativa: devo continuare ad avere fiducia che un giorno verrà fatta piena luce su quanto accadde in via d’Amelio. Quel giorno sarà una vittoria non solo per noi familiari, ma per l’Italia intera. 
     
Tomasi di Lampedusa scriveva: “i siciliani odiano chi li vuole svegliare”. E’ stato troppo facile per la mafia approfittare di una terra così “addormentata”?
Non è vero che i siciliani odiano chi li vuole svegliare. Io credo che i siciliani amino chi vuole svegliarli. Il problema è un altro: per cambiare davvero qualcosa, ognuno deve continuare a svegliarsi ogni giorno da solo, senza bisogno di eroi. E questo, in Sicilia anche per i troppi bisogni insoddisfatti, non sempre è facile.
 
La lotta alla mafia, oggi. C’è davvero il rischio di uno scioglimento del pool?
Le denunce fatte dal procuratore Messineo, qualche giorno fa, vanno in questa direzione. Io mi auguro che ciò non avvenga mai. La struttura del pool è una delle maggiori intuizioni della magistratura italiana. Per studiarne i meccanismi e la validità vengono da ogni parte del mondo. Personalmente sono convinta che rinunciare al pool antimafia sia un grave sbaglio.
 
Da alcuni anni ci sono sempre meno “pentiti”, anche perché la legge rende le collaborazioni di giustizia più difficili. È un segno che lo Stato si è dimenticato dell’esperienza del pool antimafia di Palermo?
Sappiamo tutti come è andata. Subito dopo le stragi del ’92 si sono avuti anni di grande attenzione su questo fronte. Attenzione politica, dei mass media, della società in generale. L’impatto emotivo delle stragi aveva suscitato una sorta di ribellione profonda, una richiesta di risposte forti. Così la legislazione è stata rafforzata e si sono messi a punto strumenti di contrasto al fenomeno. Tutto questo è andato avanti fino al ’96. Poi l’attenzione e la tensione sono calate e molti strumenti sono stati via via svuotati. Il governo si trova a dovere affrontare oggi questioni importanti come il rafforzamento delle procure lasciate senza mezzi e risorse e carenti di strumenti legislativi che favoriscano la lotta alla mafia.
 
Cosa fare per conservare la memoria di Capaci o Via D’Amelio?
La memoria di Capaci e Via d’Amelio è diventata un patrimonio di tutti, persino di chi allora non era ancora nato. La memoria è diventata già futuro e coscienza collettiva. Ma guai a pensare che questa conquista sia per sempre. La memoria per essere tale e per tramandarsi nel tempo ha bisogno di impegno e di lavoro concreto. Ha bisogno di germogliare e di dare frutti. In questi 15 anni i frutti ci sono stati: è cambiata la coscienza degli Italiani. Prima non si sapeva neppure dire cosa fosse la mafia, c’era chi addirittura ne parlava come un’invenzione. Oggi tutti sanno e possono scegliere da che parte stare. C’è una coscienza antimafia diffusa e c’è la conoscenza del fenomeno mafia.
 
«Sono ottimista poiché vedo che verso la mafia i giovani, siciliani e no, hanno oggi una attenzione ben diversa da quella colpevole indifferenza che io mantenni sino ai quarant’anni. Quando questi giovani saranno adulti avranno più forza di reagire di quanto io e la mia generazione ne abbiamo avuta», scriveva Paolo in una lettera. Quella fiducia è stata, a suo parere, ben riposta?
Sì. Decisamente sì.
 
C’è qualcosa che non ha mai detto a suo fratello Paolo e di cui si rammarica?
No, io a Paolo dicevo tutto.


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