#IoResto per #FareTerritorio, una conricerca Come l’attivismo incide sulla scelta di emigrare

«Partiamo da un unico dato del rapporto Svimez 2014: dal 2001 al 2013, un milione e seicentomila persone si sono spostate dal Sud al Nord». Soprattutto giovani – il 70 per cento – e per lo più laureati – il 40 per cento dei ragazzi. «Sembra che l’Italia sia divisa nettamente in due da fattori soprattutto economici, che si tramutano quindi in fattori sociali». Ma come incide sulla scelta di restare o partire l’attivismo sociale e politico? Se lo chiedono i ragazzi del collettivo catanese Aleph che, partendo da se stessi, hanno lanciato una conricerca su base regionale – ed esportabile in altre realtà italiane -, con l’aiuto di Gianni Piazza, docente di Sociologia dei fenomeni politici dell’università di Catania. L’obiettivo è «comprendere scelte di vita collettive e individuali, capirne il motivo e comunicarlo all’esterno, come generazione sempre meno presa in considerazione e, spesso, demonizzata». Una ricerca in tre tappe che vada oltre i semplici numeri, ma che restituisca la percezione di un fenomeno storico e sociale e spieghi «se, come e quanto la Politica, quella con la P maiuscola, quella quotidiana può intervenire in fattori sociali di questa portata». Il primo momento di analisi dei dati avverrà a Catania, sabato e domenica 23 e 24 maggio.

I giovani di Aleph sono intanto partiti dai numeri del rapporto Svimez. I quali danno il Sud in picchiata sotto tutti i punti di vista. Da quello occupazionale ai consumi per la salute e l’istruzione. Dal calo delle immatricolazioni a quello dei finanziamenti alle università meridionali, un circolo vizioso. Davanti a questi trend sempre più negativi, il gruppo ha deciso di intraprendere il metodo della conricerca. «E cioè uno studio che parte proprio dai soggetti coinvolti nella ricerca», spiega Fabrizio Cappuccio, attivista del collettivo Aleph, 24 anni, studente di Scienze politiche a Catania. Così nasce #IoResto per #FareTerritorio che, spiegano gli ideatori, «non è solo uno slogan, una campagna, ma soprattutto una convinzione, a cui ci aggrappiamo giornalmente e su cui vorremmo confrontarci». A livello locale ma non solo. Per questo la ricerca è impostata in modo da essere esportabile al di fuori dei confini siciliani.

Lo studio è articolato in tre passaggi: un analisi che coinvolge attivisti di diverse città siciliane; un focus su alcune esperienze di militanti emigrati negli ultimi cinque anni; e un ultimo di massa, gestito su fasce d’età, su chi non ha «ancora sperimentato la pratica di mettere in comune le proprie esigenze, la propria rabbia, le proprie aspirazioni». La prima fase è cominciata a febbraio «e speriamo di concludere la conricerca entro la prossima primavera», spiega Cappuccio. Il primo momento di confronto regionale, e non solo, ci sarà sabato 23 maggio alle 18, al Centro Sociale Auro, con un’assemblea insieme agli studenti da Napoli in giù. Domenica si parte invece con il workshop alle 11 Vivere il quartiere per vivere la città, differenze, potenzialità e difficoltà e l’analisi dei primi dati alle 17 per capire «come strutture, comitati, collettivi affrontano il tema dell’emigrazione».

Il test sottoposto ai militanti di diverse città siciliane – Catania, Palermo, Messina, Niscemi, Avola, Lentini e Marsala – ha previsto domande su temi non locali. Di carattere generale – dalla condizione economica al livello di studio -; sull’interesse e la partecipazione politica; su come e quanto ci si informa e infine sul tema dell’immigrazione. «Abbiamo rivolto la ricerca a realtà non istituzionali, come i partiti, ma ad attivisti di collettivi universitari, centri sociali e dei comitati No Muos», spiega Cappuccio. Scopo del questionario è capire com’è percepita la scelta dell’emigrazione da parte di chi ancora si trova in Sicilia. E quanto incidano alcuni fattori – come la militanza politica e sociale appunto – sull’eventuale decisione di andare via. I dati verranno presentati domenica, ma da un’anticipazione risulta che, per l’86,4 per cento degli intervistati, «rimanere significa avere a cuore la propria terra». Solo una piccola parte – il 24,7 per cento – pensa invece che sia «una scelta semplice».


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