Processo Iacp, prescrizione per ex direttore Rubino Per gli ispettori aveva «favorito dipendenti e amici»

È la prescrizione a chiudere, in maggior parte, la vicenda giudiziaria sulla gestione dell’Istituto autonomo case popolari di Catania sotto la direzione di Santo Schilirò Rubino. Il collegio della terza sezione penale del tribunale presieduto da Rosa Anna Castagnola, a latere Anna Maria Cristaldi e Barbara Maria Rapisarda, pronunciando la sentenza ha rilevato l’intervenuta prescrizione per la quasi totalità delle contestazioni avanzate dall’accusa. Alla sbarra, oltre al direttore dello Iacp catanese, quattro dipendenti e sei beneficiari. Si tratta di Anna Attilia Tusa, Ettore Schilirò Rubino (figlio di Santo, ndr), Adele Fiorello, Giuseppe Caruso, Orazio e Carmelo Sicali, Nino Santoro, Agata Romeo, Carmela Bergamo e Gaetano Maravigna. I reati, contestati a vario titolo, erano di abuso d’ufficio, truffa aggravata ai danni dello Stato, falsificazione nei numeri di protocollo e nelle attestazioni. 

Condotte, queste, evidenziate da «fatti emersi in maniera oggettiva» aveva chiosato il pm Andrea Bonomo durante la requisitoria. «Vari alloggi – continuava – sono stati assegnati da Santo Schilirò Rubino senza che vi fossero i requisiti previsti dalle leggi». E per i numeri di protocollo «le date inserite erano false». Unico capo di imputazione per il quale i giudici hanno pronunciato l’assoluzione ha riguardato il falso in un atto: un errore «grossolano», aveva detto il pm in aula, considerato che la data sarebbe dovuta essere due giorni dopo quella indicata. Il tribunale ha disposto anche la trasmissione degli atti alla procura per quanto riguarda alcune presunte falsità.

Molti avvocati hanno fatto presente al collegio giudicante come le accuse nei confronti dei loro assistititi si riferivano a condotte risalenti al 2006-2007 e dunque prescritte. L’attuale assessore alla Trasparenza e legalità del Comune di Catania, Rosario D’Agata, presente in aula nella veste di legale difensore, ha tenuto a ribadire la richiesta di assoluzione, perché il fatto non sussiste, in quanto al tempo «c’era il timore che gli alloggi liberi e non assegnati potesseri essere occupati. Per questo – prosegue – si decise di chiedere ai sindacati di segnalare le persone che avevano i requisiti per avere le abitazioni». L’avvocata Angela Vecchio ha evidenziato al collegio come alcuni atti incriminati, e messi sotto esame, non sono altro che «documenti consequenziali a contratti già stipulati e supportati da perizie».

Sui meccanismi di funzionamento dello Iacp a Catania, durante il dibattimento, Aldo Gangi, uno dei tre ispettori regionali che nel 2009 aveva redatto una relazione sull’Istituto, aveva raccontato ai giudici come a colpire lui e i suoi colleghi era stato «l’accentramento di ruoli da parte di Santo Schilirò Rubino. Ad interim era dirigente dell’area contabile, dell’area amministrativa, del servizio legale, dell’area tecnica, segretario del consiglio di amministrazione, organo unico di gestione delle entrate e delle uscite del protocollo e del sistema informatico, presidente del nucleo di valutazione e verifica del personale». In questo modo, aveva sottolineato l’ispettore, era stato «creato un sistema di condizionamento che poteva danneggiare sia economicamente che giuridicamente le carriere» di chi voleva rifiutarsi di sottostare alle volontà del direttore che «favoriva dipendenti o amici di famiglia». Tra i casi incriminati, infatti, c’erano la proroga del contratto di lavoro alla moglie e una bottega assegnata al figlio Ettore.

«Questa sentenza era qualcosa di inevitabile – spiega a MeridioNews l’avvocato Tommaso Tamburinolegale dello Iacp costituito parte civile – dato che il processo era molto complesso, necessitava di una serie di approfondimenti dibattimentali ed esami. È durato anni e probabilmente non poteva durare meno».


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