La.Ra., metà azienda torna al figlio del mafioso «L’agenzia per i beni confiscati non fa ricorso»

Prima la speranza del rilancio, poi una sentenza «che fa rimanere la La.Ra. nello stato comatoso in cui si trova da tempo». Lo lamentano i lavoratori che, senza stipendio da mesi, lunedì hanno protestato davanti alla prefettura etnea. La corte di Appello di Catania a febbraio ha restituito a Salvatore La Mastra la metà delle quote della ditta sequestrata nel 1997 e poi confiscata per mafia perché ritenuta legata al padre, Carmelo La Mastra, considerato legato al clan Santapaola. Decisione che avrebbe fatto decadere la promessa di finanziamenti e occasioni di lavoro fatta, nel corso di una riunione, dal direttore dell’agenzia che per conto dello Stato si occupa dei beni sottratti alla malavita (Anbsc), il prefetto Umberto Postiglione. Ad aggravare la situazione ci sono anche i pagamenti arretrati, che l’impresa attende da tempo.

La decisione dei giudici di Appello «è stata accolta con grande sorpresa da parte di tutti i dipendenti», dice a MeridioNews uno di loro. Il tribunale ha fatto parzialmente marcia indietro rispetto a quanto stabilito nella sentenza di primo grado, in cui Salvatore e Mariagrazia La Mastra – titolari ognuno del 50 per cento della La.Ra. – venivano considerati solo dei prestanome del padre, condannato in via definitiva per mafia. In attesa del giudizio sul ricorso presentato dalla figlia, la magistratura ha restituito la metà delle azioni al figlio, smentendo che si tratti di un semplice testa di legno. «La sentenza poteva essere impugnata, ma questo passaggio non è stato fatto. Perché?», si chiede un dipendente dell’impresa.

Scaduti i termini per il ricorso – «che poteva essere presentato dall’agenzia per i Beni confiscati» -, metà delle quote che erano dello Stato sono state restituite, in via definitiva, al vecchio proprietario. Allora a fare marcia indietro sarebbe stata anche la stessa Anbsc: «In un incontro avuto in prefettura, Postiglione aveva promesso il rilancio attraverso fondi europei e la possibilità di sottoscrivere nuovi contratti di lavoro», continua il dipendente. Ma circa 20 giorni dopo il deposito della sentenza «l’amministratore della ditta, Angelo Bonomo, ci ha comunicato che lo Stato non poteva dare soldi a un’azienda per metà nuovamente privata».

Lunedì i lavoratori della La.Ra. sono scesi di nuovo in strada. Si sono riuniti e hanno organizzato un sit-in davanti alla sede della prefettura di Catania. «L’azienda lavora in perdita e pare destinata al fallimento – aggiunge il lavoratore – Con maggiore e più tempestivo interesse politico e da parte dell’Anbsc si sarebbe potuta salvare, adesso temo non più». La ragione dello sciopero riguarda, oltre alla sentenza d’Appello, anche gli stipendi dei 24 operai rimasti, che non vengono pagati da febbraio. «La La.Ra. avanza commissioni da parte di Tecnis, dai Comuni di Noto e Niscemi e pure dalla procura di Catania», spiega una nota della Cgil.


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