Bilancio Comune, i numeri delle società partecipate «Debiti aumentati di oltre sessanta milioni di euro»

Un picco verso l’alto. È il grafico che semplifica le anticipazioni di cassa richieste dal Comune di Catania dal 2012 al 2015. Uno strumento che somiglia allo scoperto in banca al quale fanno ricorso i privati e che per Palazzo degli elefanti si traduce in 150 milioni e 909mila euro. Una sorta di plafond a disposizione dell’amministrazione per pagare le attività quando non ci sono soldi in cassa. E se il limite massimo dal quale attingere è di 180 milioni di euro, almeno 30 milioni bisogna toglierli: quelli già bloccati perché necessari a pagare i mutui. «In altri termini, siamo al limite». A denunciarlo è il vicepresidente del Consiglio comunale Sebastiano Arcidiacono che, negli scorsi mesi, ha chiesto l’accesso agli atti del municipio. «Nel 2012 le anticipazioni di tesoreria ammontavano a oltre 49 milioni di euro, adesso quelle cifre sono triplicate – dice – Un altro dei motivi per i quali la Corte dei conti vuole chiarimenti».

Il riferimento di Arcidiacono è alla convocazione inoltrata al sindaco Enzo Bianco da parte della magistratura contabile: l’appuntamento è fissato per il 31 maggio quando, come anticipato da MeridioNews, i giudici chiederanno conto di un lungo elenco di «profili di criticità». Tra i quali ci sono, oltre al ricorso alle suddette anticipazioni, anche i debiti nei confronti delle società partecipate dell’amministrazione. «Per loro stessa definizione, le partecipate hanno tutte lo stesso proprietario, il Comune, e tutte una grave situazione alle spalle – prosegue Arcidiacono – Nel loro caso, il punto non è che sono state fatte delle scelte sbagliate, ma delle scelte non sono proprio state fatte». Il caso più eclatante è forse quello dell’Amt: nel 2012 si era deliberato di cederne il 40 per cento, decisione che era poi stata revocata nel 2015 con la decisione di mantenerla e fonderla con la Sostare. Nel 2016, invece, l’indirizzo è cambiato ancora: l’Amt resta e non si fonde con Sostare. «Nei fatti, è rimasto tutto come prima del 2012», sostiene Sebastiano Arcidiacono.

E se le vicende legate a Sostare vanno a braccetto con quelle dell’azienda che si occupa della gestione dei trasporti, diverso è il discorso per la Multiservizi: da dismettere al cento per cento nel 2012, da tenere per intero secondo una delibera della giunta firmata nel 2016. E ancora: il Comune, quattro anni fa, aveva deciso di cedere il 49 per cento delle sue quote societarie. Una scelta confermata con una delibera del 2015 e, infine, lasciata in sospeso nel 2016. Un iter differente, invece, ha seguito l’Asec trade: di quest’ultima Palazzo degli elefanti dice ancora di volersi liberare, «ma il bando di vendita – sottolinea Arcidiacono – non è ancora stato pubblicato». Poco male se a tutte queste società – con i loro 1659 dipendenti complessivi – il Comune non dovesse parecchi soldi. Secondo i dati aggregati elaborati dal vicepresidente del senato cittadino, ammontano a 223 milioni di euro i debiti totali (di cui 104 milioni con la Cassa depositi e prestiti) di Palazzo degli elefanti nei confronti delle partecipate al 31 dicembre 2015. Contro i 160 milioni di euro certificati alla fine del 2012 nella delibera sul piano di riequilibrio.

Anche sotto questo profilo, la situazione più grave è probabilmente quella dell’Amt: i 35 milioni e 573mila euro che vanta dal Comune contribuiscono ad aggravare una situazione economica già allo stremo. «È un debito che non potrà essere ripianato», interviene Giuseppe Scannella, sindacalista dell’Ugl Trasporti. «Se sommiamo anche i soldi che vengono dalla Regione – continua Scannella – comprendiamo per quale motivo la situazione è ormai insanabile. All’Amt bisogna decidere cosa fare: venderla? Metterla sul mercato? Per farla acquistare da chi?». «La questione relativa all’Azienda dei trasporti è ben più complessa – attacca il consigliere Niccolò Notarbartolo – I debiti di Amt sono frutto di scelte sbagliate dal punto di vista della gestione e adesso si sta tentando di tirare fuori i soldi sulla pelle dei lavoratori». Una posizione parzialmente condivisa dalle organizzazioni sindacali. Che, però, quasi all’unisono, chiedono di indagare le cause dei bilanci in rosso. «Non servono altri finanziamenti – sostiene Giovanni Santagati, segretario generale Uiltec Catania – È come se mettessimo un soldino nel salvadanaio, senza avere il salvadanaio. Bisogna prima riuscire ad amministrare l’esistente».


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