Smoke free, gli spacciatori di Librino si rinventano E Arena jr, ai domiciliari, scende in strada armato

Stanchi dei continui assalti ai loro camion si sono rivolti ai magistrati manifestando la volontà di smobilitare l’azienda e trasferire la loro attività altrove. È soltanto uno degli aneddoti dell’operazione Smoke free che ha coinvolto cinque persone – una è ricercata – accusate di associazione a delinquere e a vario di titolo di rapina aggravata, detenzione di armi e minaccia. Storie di pregiudicati che avevano deciso di dedicarsi agli assalti ai mezzi di una società di logistica che si occupa di distribuzione di tabacchi a Catania e provincia. Metodi violenti, armi in pugno e l’accurata conoscenza degli spostamenti delle vittime avrebbe consentito al commando di centrare i colpi in almeno tre occasioni, anche se la denuncia delle vittime annovera 14 episodi a partire dal 2013. Uno dei ruoli determinanti sarebbe quello dell’ex dipendente Giovanni Gagliano. È stato lui, almeno secondo gli investigatori, la mente del gruppo che tra le proprie fila contava anche Concetto Aiello. Entrambi pregiudicati con un passato da spacciatori in viale San Teodoro, ex regno di una delle famiglie mafiose più influenti della città, quella degli Arena.

E nell’elenco degli arrestati c’è anche Massimiliano Massimo Arena. Rampollo del capomafia Giovanni, finito in manette nell’ottobre 2011 dopo una latitanza durata 18 anni. Al figlio del boss non vengono contestate rapine ma reati in materia di armi, le stesse che sembrano essere una grande passione della dinastia. Il 12 febbraio 2007, insieme a due complici, faceva irruzione in un negozio all’ingrosso di pelletteria gestito da un commerciante cinese. Una rapina cominciata sparando colpi di fucili in aria e conclusa portando via 1300 euro. Le sorelle Agata e Lidia nel 2012 vengono ammanettate perché durante una perquisizione gli agenti trovano una mitraglietta con munizioni, silenziatore artigianale e un fucile calibro 12.

Durante l’ultima indagine Arena, mentre era obbligato agli arresti domiciliari, avrebbe notato qualcosa di sospetto sotto la sua abitazione nel quartiere popolare di Librino. Forse una macchina, con dentro Gagliano e altri uomini, che viene scambiata per una pattuglia delle forze dell’ordine in borghese. La circostanza avrebbe convinto il figlio dello storico capomafia a scendere in strada con una pistola in mano, desistendo dai suoi intenti soltanto dopo essersi accorto che si trattava di sue vecchie conoscenze.

Giovanni Galigliano, così come Concetto Aiello, erano stati arrestati già nel 2015 per spaccio di droga in quella che storicamente è stata una roccaforte degli Arena. Il primo, il 24 aprile dello scorso anno, viene trovato in possesso di 600 dosi di hashish, mentre l’altro a settembre viene beccato con quasi cento involucri di droga mentre spacciava con la complicità di alcune vedette a due passi dal palazzo di cemento. Non è da escludere che il gruppo di rapinatori, di cui avrebbero fatto parte anche Salvatore Lo Re e Vincenzo Verga, avessero deciso di reinvestire i proventi delle rapine – circa 180mila euro, il valore della merce – per mettersi in proprio nell’affare degli stupefacenti. L’indagine, che ha coperto un arco temporale che va da giugno 2014 a marzo 2015, ha fatto emergere anche alcuni furti in abitazioni commessi a Catania e provincia il 23 febbraio, il 12 e il 18 marzo 2015. Le vittime, scelte con accuratezza, erano prevalentemente anziani


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