Ciancio e la mafia, in Cassazione il verdetto La decisione sull’editore è attesa in serata

Sono bastati 70 giri d’orologio per chiudere il primo tempo che si gioca davanti alla corte di Cassazione. Al centro del contendere, con l’ultima parola che spetterà ai giudici ermellini, c’è il destino giudiziario dell’editore ed ex direttore del quotidiano La Sicilia, Mario Ciancio Sanfilippo. Imprenditore, con la passione per l’antiquariato, accusato dalla procura di Catania di concorso esterno in associazione mafiosa. Dopo il proscioglimento in fase preliminare perché «il fatto non costituisce reato» hanno fatto ricorso gli uffici giudiziari etnei e la famiglia Montana, rappresentata dall’avvocato Goffredo D’Antona. Entrambi hanno chiesto, durante l’udienza di oggi, l’annullamento con rinvio. Prospettiva opposta rispetto a chi difende l’editore. I suoi legali Giulia Bongiorno e Carmelo Peluso chiedono la conferma del giudizio arrivato il 21 dicembre 2015. Bongiorno ha inoltre chiesto l’inammissibilità del ricorso della famiglia Montana perché non ritenute persone offese ma danneggiate. Un cavillo giuridico che permette soltanto ai primi di potersi presentare nelle stanze romane di piazza Cavour. 

Secondo i magistrati etnei, oggi rappresentati in aula da un procuratore generale, con la decisione della giudice Gaetana Bernabò Di Stefano ci sarebbe stata una «violazione di legge nell’applicazione del codice di procedura penale». Il riferimento è alla giurisprudenza che regola il reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Definito dalla giudice nella sentenza come mezza-mafia: «Un qualcosa di mafia c’è ma non così tanto da volerlo considerare inserito nella compagine criminosa mafiosa». Sul punto, in un documento che nel suo complesso è ricco di punti oscuri e veri e propri errori, si è espresso anche il capo dell’ufficio gip Nunzio Sarpietro, che ha sostanzialmente preso le distanze dalla collega, parlando di decisione «del tutto personale e isolata poiché tutti gli altri giudici della sezione ritengono il suddetto reato sicuramente ipotizzabile, come più volte stabilito dalla Corte di Cassazione».

Insieme a quello della procura c’è anche il ricorso della famiglia Montana. Ossia Gerlando e Dario Montana, fratelli di Beppe Montana, il poliziotto ucciso dalla mafia nel 1985. Troppo spesso, secondo l’avvocato Goffredo D’Antona, la giudice avrebbe riportato le parole e le tesi della difesa di Ciancio, senza alcuna verifica. Un modo di procedere, quello dell’elencazione di fatti e stralci, comune un po’ a tutta la sentenza. Per D’Antona, «in più parti, vi sono mere valutazioni di merito, mai adeguatamente motivate». La decisione adesso spetterà ai giudici ermellini che potrebbero pronunciarsi già in serata. Due le strade ipotizzabili: un ritorno del caso Ciancio in udienza preliminare o la parola fine su una delle vicende più intricate e complesse dalla storia di Catania.


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