Funerali privati per 16enne, corteo invade San Leone Padre e zio accusati di far parte dei Cursoti milanesi

«Se questo è il quartiere dei mafiosi, facciamo un applauso per Eugenio». Il grido in piazza San Leone è una rabbiosa presa di distanza da chi guarda con pregiudizio San Berillo nuovo. Di fronte alla chiesa c’è una folla radunata e si sentono solo le mani che battono. Chi partecipa all’ultimo saluto a Eugenio Ruscica non vuole che nel momento del dolore per la morte del 16enne si parli di criminalità organizzata. Sebbene alcuni parenti di Bananedda, così lo chiamavano nella zona, siano considerati componenti della cosca dei Cursoti milanesi. Il ragazzino è morto il 28 ottobre dopo un incidente stradale in corso Duca D’Aosta. Era a bordo di uno scooter di grossa cilindrata, quando è stato investito dalla Fiat Punto guidata da una donna di 74 anni, a pochissima distanza da casa sua, in via Francesco Baracca, tra le case popolari di corso Indipendenza. Le saracinesche del gommista e del meccanico di fronte alla chiesa sono abbassate. «Hanno chiuso perché se la sentivano», dicono tutti. Il chiosco è sparito e sui gradoni della parrocchia c’è un cartellone blu con le foto di Eugenio

Di fronte alla porta di casa sua, campeggia uno striscione: «Piccolo Eugenio riposa in pace». Lo stesso che è stato esposto allo
stadio Angelo Massimino, nel corso dell’ultima domenica di campionato. I funerali, che erano previsti per oggi pomeriggio alle 16, si svolgeranno invece domattina in forma privata, per ordine del questore Marcello Cardona. Una disposizione resa necessaria per via di quello che sarebbe successo questa mattina: «Hanno chiuso tutti per rispetto, alla sua famiglia gli vogliono tutti bene», dice una commerciante della zona del PalaCatania. Padre e zio di Eugenio, come conferma la questura, sono GiuseppeCarmelo Ruscica (classe 1976 e 1979), detti Banana BananeddaFiniti in manette nel 2013 nel corso di un’operazione antimafia contro i Cursoti milanesi e accusati di traffico di droga con l’aggravante dell’associazione mafiosa. Giuseppe, secondo gli investigatori, è elemento di vertice del clan assieme a Tommaso Tiralongo. Ed è citato anche nella relazione 2015 della Direzione nazionale antimafia. Per via di un processo in cui è imputato insieme ad «alcuni dei massimi esponenti» della cosca proprio per la sua presunta attività di spaccio nel quartiere che adesso si stringe intorno alla sua famiglia.

Quando, nel vicolo di fronte alla casa, si diffonde la voce che i funerali sono stati vietati, 
gli animi si surriscaldano. Il gruppo degli ultras scandisce il coro «Eugenio uno di noi», una donna propone: «Facciamolo comunque il corteo, andiamoci in chiesa, accussì ‘n’ana attaccari a tutti». Viene applaudita anche lei. Sono da poco passate le 15.30 quando centinaia di persone si spostano verso la parrocchia, a piedi, tra i vicoli delle case popolari. Mentre passa la manifestazione, dai palazzi le persone si affacciano. «Scinniti tutti, ppì Eugenio». Molti scendono, solo alcuni si limitano a battere le mani. Nel frattempo arrivano centinaia di palloncini bianchi, distribuiti tra le persone. Tanti coetanei della vittima indossano una maglietta bianca con le sue foto e la scritta «Resti sempre nel nostro cuore». Diverse ragazze piangono, tanti amici hanno gli occhi lucidi. Nel frattempo il serpentone di persone raggiunge corso Indipendenza. Il traffico viene bloccato dai partecipanti al corteo, non ci sono vigili urbani automobili della polizia. Le volanti che questa mattina presidiavano la zona sono sparite. 

In cielo, però, vola un elicottero delle forze dell’ordine. Appena passa su via della Sforzesca, tra
via IV Fanteria e via San Leone, viene fischiato. E poi applaudito. «Lasciate andare i palloncini». «Ch’e vaddìa non c’ana essiri discussioni», grida un altro degli animatori del corteo. «N’ama fari nenti, ‘annunca c’è l’infernu». Il riferimento è a possibili tensioni con gli agenti di polizia. L’ordine è di rimanere calmi. Non ci devono essere scuse perché si dica che i residenti di San Berillo nuovo hanno creato disordini. «Non c’abbiamo addosso solo gli occhi di Catania – urla un amico del 16enne – Ci sta guardando tutta l’Italia». Sui gradoni della chiesa si celebra un minuto di silenzio. A scandirlo sono i rintocchi della campana, che annuncia che sono le quattro del pomeriggio. Finiti quelli, chi si era messo in ginocchio si alza e inizia una corsa verso l’ingresso della parrocchia. Che si ferma subito davanti alla porta. «La questura ha portato via il prete – racconta una donna all’interno – Eravamo pronti, hanno portato pure il cuscino, ma ci hanno detto che salta tutto».

Da lì si torna di nuovo in corso Indipendenza, per poi arrivare in corso Duca D’Aosta. È sul luogo dell’incidente che vengono fatti volare gli ultimi palloncini bianchi. La strada è bloccata, decine di scooter seguono a distanza il percorso del corteo. E almeno un centinaio sono rimasti parcheggiati in
via Baracca. Fino alla fine del pomeriggio sotto casa di Eugenio Ruscica c’è un capannello di gente. «‘U picciriddu – continuano a chiamarlo tutti – sarà sempre nei nostri cuori».


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