Arriva Feisbum, l’istant movie perfetto (e un po’ catanese)

È un film a episodi diretto da sette registi diversi: pensato a metà dicembre, pronto a metà aprile, in sala l’8 maggio: praticamente l’istant movie perfetto. Feisbum è nato da un’idea del produttore Marco Scaffardi, che l’ha sviluppata con Serafino Murri.  Distribuito in quasi 200 sale -probabilmente il record per una produzione e distribuzione indipendente- e coprirà quindi tutto il territorio nazionale.

Abbiamo incontrato Dino Giarrusso, regista del film nonché docente di “Tecnica della produzione Cinematografica e Televisiva” della facoltà di Lingue di Catania, per farci raccontare la sua esperienza. 

Dino, come è nata l’idea di realizzare un film su Facebook?

Il produttore è andato a trovare la madre 89enne,  professoressa di psicologia in pensione, che stava su Facebook a chattare con le amiche, ed è stata lei a iscrivere lui a Facebook. Dopo avere passato una settimana  attaccato al PC come un alcolista alla bottiglia, Marco Scaffardi ha capito la potenzialità enorme del mezzo. Ed essendo un produttore cinematografico ha pensato subito a farne un film. Ciò che rende particolare, e, a mio giudizio, vincente il suo progetto, è stato il coraggio avuto a non affidarsi ad una major come Rai, Medusa o Filmauro, ma a rischiare in proprio, dividendo il film in episodi e chiamando a dirigerlo registi giovani, vogliosi di farsi conoscere dal grande pubblico. Un film pensato a dicembre e pronto a metà aprile, per l’Italia è un miracolo. O forse qualcosa di più…

Miracolo per i tempi brevissimi? 

Per i tempi e per i modi. Come insegno ai miei studenti, il tempo che passa fra l’idea ed il film in sala, oscilla di solito fra uno e cinque anni. In media ci vogliono un paio d’anni. Ferzan Ozpetek, che come me era un aiuto regista, per fare il suo primo film (trovare i fondi, girarlo, distribuirlo, etc.) ci ha messo più di sei anni.  Ma in questo caso bisognava correre: la “mania” di Facebook è adesso, magari fra un anno si sarà allentata… Siamo stati più veloci degli americani, dei francesi, degli spagnoli, inglesi.

Come sei stato contattato, tu? E gli altri registi?

Sono stato chiamato da Serafino Murri, un critico che ha già fatto un piccolo film da regista, e che ha scritto col produttore i soggetti delle storie. Aveva letto una mia sceneggiatura e l’aveva molto apprezzata, così ha pensato a me per uno degli episodi. Per contrarre i tempi senza perdere in qualità, la produzione ha pensato a sette troupe che girassero contemporaneamente, durante la stessa settimana. Ed ha chiamato a dirigere il film sette registi che avessero già fatto qualcosa (corti, pubblicità, etc.), che fossero disponibili a lavorare con entusiasmo, praticamente gratis, ma tirando fuori davvero il meglio di sé. Quindi “giovani” -oscilliamo fra i 30 e i 42 anni- con alle spalle una buona gavetta e molta fame di visibilità. Cinque di noi sono esordienti, Murri aveva fatto il poco visto “Movimenti”, e Alessandro Capone, che invece ha vent’anni in più degli altri, e molti film alle spalle (ha diretto Distretto di polizia, ndr), si è voluto inserire nel progetto perché è molto preso da Facebook.

In un film a basso budget ci sono problemi a trovare una troupe di livello?

Io ho fatto per anni l’aiuto regista per grandi come Scola e Risi e quindi conosco alcuni fra i più importanti professionisti del settore. Il direttore della fotografia, Tani Canevari, ha lavorato con Moretti, Tognazzi, Veronesi e Pieraccioni, eppure mi ha subito detto di sì, e come lui anche il fonico Tullio Morganti (che è lo stesso di Salvatores e Virzì, e ha vinto 4 David di Donatello), lo scenografo Carlo De Marino, la segretaria di edizione Cinzia Liberati, che ha fatto capolavori come La meglio gioventù. Sono amici, ed il fatto che le riprese durassero una sola settimana ha reso più facile ancora, per me, avere questa grande troupe alla paga simbolica che il budget del film imponeva.

La tua storia “Maledetto tag” è ispirata a un fatto reale.
Sì, mi viene da ridere. E’ incredibile ma è vero: un matrimonio è stato messo in crisi a pochi giorni dalla cerimonia, per una foto taggata su Facebook. A raccontarci questa storia è stato l’avvocato che difendeva una delle famiglie, perché c’è stata anche una richiesta di risarcimento danni.  Io ho preso solo lo spunto, naturalmente, da questa vicenda – che la dice lunga sul rapporto che ha la nostra vita con la rete – e ci ho costruito una storia di totale fantasia, scrivendo la sceneggiatura. Ho inventato la famiglia di lei (Giulia Bevilacqua, Distretto di polizia), ho ambientato il tutto a Napoli, e mi sono immaginato -come spalla dello sposo (Corrado Fortuna, il Tanino di Virzì, ndr) – la figura dell’amico casinista, interpretato da Pietro Taricone.

E anche nel tuo episodio il matrimonio salta?

Mi chiedi il finale del film? Non potrei rivelarlo mai!  Chi vuole sapere cosa mi sono inventato deve venire al cinema a guardare Feisbum.

Il finale no, d’accordo, ma entriamo un po’ più nello specifico: cos’altro ci puoi dire del  tuo episodio?
Posso dire che sono estremamente soddisfatto. Io credo che un episodio che dura meno di un quarto d’ora debba  avere un finale che colpisca. E Maledetto tag ce l’ha. E’ una commedia, naturalmente, una storia divertente e leggera che non cambierà il mondo. Ma sono contento di essere riuscito a metterci dentro anche della satira di costume. Mi sono permesso di girare con lo stile di un lungo, cercando di fare quel tipo di cinema che amo stilisticamente: piani sequenza, poche interruzioni, ritmi rapidi ma mai televisivi, e molta attenzione alla recitazione. Per me un regista bravo è uno che sa far fare agli attori ciò che ha in testa lui, accogliendone semmai eventuali miglioramenti. Una delle cose cui tengo di più è la direzione degli attori, e da questo punto di vista è andato tutto alla grande. Mutuando una azzeccata frase di Daniele Luchetti, posso dire che “li ho lasciati liberi di fare quello che volevo io”.

E tu che rapporto hai col social network più famoso del momento?
Ero iscritto a Facebook, ma da quando ho saputo che ci avrei fatto un film, ci ho passato tantissimo tempo, per documentarmi, e cercare spunti. Adesso ho 2800 amici, e lo sto usando anche per pubblicizzare Feisbum. Credo comunque che sia un mezzo comodo e utile, ma anche pericoloso. Ci sono state giornate in cui mi sono sorpreso a starci 4 ore , e credo che ci siano molte persone che confondono quella realtà con il mondo reale. Feisbum potrebbe aiutare molti a comprendere che è meglio non esagerare.

 Dino, hai fatto tante volte l’aiuto regista e alla tua prima volta da regista vai a Cannes. 

Eh sì… è davvero una grande soddisfazione, imprevista e bellissima. Non andiamo al concorso, ma al mercato internazionale del film, che è il più importante del mondo.  E’ un risultato che premia un progetto intelligente, indipendente, coraggioso e confezionato bene: a Cannes un film fatto male non si vedrà mai.

Però hai bypassato la domanda sul tuo passato di aiuto, la tua lunga gavetta…
Non volevo sfuggire! Come ti ho detto, fare l’aiuto regista è stato fondamentale, per me. La gavetta mi ha formato, io ho imparato a fare cinema partendo da un gradino piuttosto basso, fino ad arrivare – nove anni dopo –  alla regia. La mia fortuna è che durante una proiezione di cortometraggi, ad una Festa de L’Unità del 1999, fra gli spettatori ci fosse Ettore Scola. Dei corti gli piacque il mio, e si fece dare, non so da chi, il mio numero di telefono. Poche settimane dopo mi chiamò e pochi mesi dopo, mi licenziai dal giornale catanese per cui lavoravo, ed andai a Roma a fare l’assistente alla regia per il suo Concorrenza sleale. Lavorando su quel set ho capito che il mestiere di aiuto è difficile, stressante, ingrato. Ergo: nessuno vuol farlo e pochissimi sanno farlo bene. Allora ho capito che farlo bene avrebbe significato per me poter imparare lavorando, o se preferisci mantenermi imparando. Non sono ricco di famiglia, e –avendo lasciato la professione di giornalista – dovevo trovarmi un mestiere. Ma al contempo volevo fare dei passi avanti, e così ho scelto il mestiere di aiuto, e sono venuti i film con Ricky Tognazzi. Per lui ho scritto anche la sceneggiatura del film che sta girando Il padre e lo straniero con Alessandro Gassman, con Piva, Risi, Maselli, Tamaro,  Izzo e molti altri.  Ozpetek, Pontecorvo, Leone, Luchetti, Vanzina, Tognazzi, Maselli… tantissimi registi sono prima stati aiutoregista. È una fatica, ma in quale mestiere si ha tutto e subito?

Ciò che hai imparato sul set  lo insegni nel tuo corso, qui a Lingue, e nel Medialab?
Certo. L’unica vera scuola per chi vuol fare cinema è il set, parliamoci chiaro. In Italia si insegna tanto l’estetica, la critica, la storia del cinema, ma nessuno spiega come funziona il set, principalmente perché molti dei docenti di cinema il cinema non lo hanno mai fatto. Io lo faccio, e per questo anche all’università ho scelto di impostare un corso che spieghi le dinamiche del set, che sono il sale di questo mestiere.  Puoi avere le idee migliori del mondo, ma pensare di girare un film senza una lunga esperienza di set, è come pensare a costruire un grattacielo senza essere mai stati in un cantiere. Ai miei studenti che hanno il sogno di fare cinema io consiglio di guardare tanti film, di leggere, di provare a scrivere sceneggiature, ma anche e soprattutto di andare a Roma e tentare di lavorare su un set.

Tante volte vediamo la tua firma sulla tribù di Zammù. Sei un aficionado…
Io amo tantissimo Step1 e Radio Zammù, sono entusiasta di questi progetti, e mi auguro che la facoltà li valorizzi ulteriormente. Ho studiato all’Università di Siena, che aveva investito enormi risorse sul corso di laurea in Scienza della Comunicazione. E anche lì, oltre alla necessaria teoria, si faceva molta pratica. Esattamente come per il cinema, anche per fare il giornalista credo che la pratica sia molto importante, meglio se supervisionata da un docente, da un professionista del settore. Il modo migliore per imparare a comunicare è comunicare, e fare tesoro di ciò che riesce meglio, correggendo ciò che ci riesce peggio. Per me Step1 è il fiore all’occhiello della facoltà, è il tipo di iniziativa che potrebbe portare l’Università italiana ai livelli di eccellenza che oggi sembra aver perduto. Ci sono delle cose meno riuscite, come in tutto, e altre più riuscite. Se accade in realtà solide e strapagate, figuriamoci in una radio e un giornale online fatti con pochissimi mezzi e molta buona volontà. La storia della zingara, del finto rapimento – di cui ha parlato solo Step1- è il segnale che si sta facendo un buon lavoro. E io intervengo spesso sulla tribù di Zammù perché lì si può parlare liberamente di politica, di attualità, di cinema e di altre cose che mi interessano. Fra l’altro anche il mio mestiere se ne giova: credo che per fare bene il regista bisogna interessarsi alla società, essere molto curiosi, avere un occhio estetico molto attento.

Per concludere. Confidaci una speranza e un tuo rimpianto.
La speranza naturalmente è che quanta più gente possibile vada a vedere Feisbum in sala. In pochi lo sanno, ma l’incasso del primo week-end condiziona la “vita” di un film, cioè la sua permanenza nelle sale e dunque il suo incasso finale. Rimpianti? Sì, quello di non aver giocato a calcio nella sfida fra Step1 e Radio Zammù, anche perché mi pare giusto aiutare la radio a vincere, finalmente, e perché sento il dovere morale di segnare qualche gol a Gianfranco Faillaci (coordinatore della nostra redazione, ndr) e fargli perdere una partita, dopo essere stato per anni suo compagno di squadra.


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