Beni confiscati, primo bando a due anni dalle regole Ancora incertezza tra affidamenti passati e revoche

Sono passati più di due anni dall’approvazione del regolamento del Comune di Catania per l’assegnazione dei beni confiscati alla mafia. Ma per il momento la casella di quelli affidati con le nuove modalità è ferma sullo zero. Quasi trenta mesi di immobilismo per una gestione che ha come obiettivo primario quello della «trasparenza e dei criteri certi» nella scelta di chi ne usufruirà, così da superare i problemi del passato con case e appartamenti spesso ritornati nelle mani dei parenti dei capimafia. Le difficoltà degli ex tesoretti dei boss sono causate da una moltitudine di fattori: affidamenti diretti concessi durante le passate sindacature che non sono ancora scaduti, bandi ritirati per la difficile gestione degli appartamenti – spesso troppo grandi per essere gestiti da associazioni che si autofinanziano -, ma anche poca chiarezza sulle relazioni che gli assegnatari degli immobili dovrebbero presentare all’amministrazione comunale. Uno scossone a questo quadro generale potrebbe arrivare dal primo avviso pubblico per l’affidamento di uno scantinato con giardino di 80 metri quadrati in via Randazzo. Il documento che permette l’uso in concessione gratuita prevede la consegna delle buste entro oggi, con l’apertura prevista per il sei dicembre. Giorno in cui si conoscerà quale, tra le tre domande, vincerà la graduatoria. 

La casa, in passato di proprietà del clan Laudani, era stata concessa in maniera diretta durante la giunta di Raffaele Stancanelli all’associazione animalista Anvez. Dopo alcuni anni, nell’ottobre 2013, era arrivata la revoca. Il motivo sarebbe stato riconducibile a un presunto utilizzo della sede come segreteria politica dell’ex presidente di Anvez, Francesco Giuseppe Pace, candidato al consiglio comunale durante le ultime amministrative nella lista Primavera per Catania. Ipotesi che veniva smentita dalla presidente Agata Azzarello sulle pagine de I Siciliani giovani: «Si è trattato di un errore nei volantini da parte del tipografo – si giustificava -, che aveva invertito l’indirizzo della segreteria con la sede dell’associazione». 

L’elenco dei beni confiscati alla mafia e oggi di competenza del Comune di Catania conta 31 voci. Un numero che emerge dall’elenco pubblicato sul sito dell’ente, aggiornato però al 3 giugno 2015, nonostante la necessità di rendere visibili online i documenti rinnovati di anno in anno. Scorrendo la lista risulterebbero ancora da assegnare solo quattro immobili: un terreno in via Titto Speri, un fabbricato con terreno in via Mannino Cifaly e un deposito con appartamento in via Castello Ursino. C’è poi il villaggio cielo Azzurro di Vaccarizzo che però andrebbe ristrutturato. In realtà le cose rispetto all’ultimo aggiornamento reso pubblico dal Comune sono cambiate. Come per esempio in via Pietro dell’Ova, dove si trova un appartamento su due piani da 450 metri quadrati, gestito dal 2012 dalla cooperativa Omega. Ad aprile 2015, gli uffici di Palazzo degli elefanti chiedono agli affidatari di esibire la polizza assicurativa e stilare una relazione che spieghi le attività svolte. Ma l’associazione non si fa viva – «si è resa irreperibile», scrivono dal Comune – e così, un anno dopo, a luglio di quest’anno, il contratto viene rescisso.

La stessa estate la giunta Bianco aveva deciso di ufficializzare il primo schema di avviso pubblico per questo bene, ma qualcosa è andato storto. «Hanno fatto uscire il bando ma poi è stato ritirato – spiega a MeridioNews Giovanni Caruso de I Siciliani giovani -. Si tratta di una struttura molto grande e l’amministrazione intende lottizzarla in più parti, forse per renderne più facile la gestione». «L’immobile deve essere completamente ristrutturato e quindi non è stato possibile portare avanti l’idea», replica l’assessore alla Legalità Rosario D’Agata. Tra i beni concessi in maniera diretta in passato, intanto, molti sono in scadenza; ma tra ipotesi di rinnovo delle convenzioni e possibili nuovi bandi regna l’incertezza. «Abbiamo chiesto più volte al Comune di monitorare i beni assegnati – continua Caruso -. Ma non è stato assolutamente fatto, così come mancano in diversi casi le relazioni periodiche da parte dei gestori sull’utilizzo». 


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