Ospedale Acireale, relazione sulla morte di Gulisano «Dottoressa ha compromesso possibilità di salvarlo»

Un documento che rappresenta una prova durissima nei confronti di chi quel pomeriggio del 18 maggio 2016 doveva prendersi cura della salute di Antonino Gulisano. Sono le 16 pagine della consulenza medico legale, firmate dalla dottoressa Veronica Arcifa su mandato della procura di Catania. L’atto, a quattro mesi da quando è stato depositato, potrebbe rivelarsi uno dei tasselli chiave nell’inchiesta per omicidio portata avanti dagli uffici giudiziari di piazza Giovanni Verga sul decesso di Gulisano. Nel registro degli indagati sono stati iscritti due nominativi ma la posizione che secondo l’accusa sarebbe più grave è quella di una dottoressa che quel giorno era di turno al pronto soccorso.

Il 47enne originario di Riposto è morto quasi un anno fa proprio all’interno del reparto dell’ospedale Santa Marta e Santa Venera di Acireale. Dalle carte in questione, finite nel fascicolo assegnato inizialmente al sostituto procuratore Alfio Fragalà e poi consegnato alla magistrata Magda Guarnaccia, emergono alcuni particolari finora inediti sulla vicenda. Riguardano sia l’attività dei camici bianchi all’interno del nosocomio acese che alcuni presunti favoritismi nella gestione dei codici d’accesso nel reparto d’urgenza. A emergere è infatti un presunto raccomandato. «La condotta professionale ha apprezzabilmente compromesso le condizioni cliniche e quindi la possibilità di sopravvivenza del paziente», sintetizza la consulente che scrive senza giri di parole di «evidenti e gravissime carenze».

Per capire meglio la vicenda bisogna fare un passo indietro, quando alle 14 del 18 maggio 2016 Gulisano si sente male e inizia a respirare a fatica con il braccio sinistro che formicola. Il fratello, Sebastiano, decide di chiamare immediatamente un mezzo di soccorso, che arriva dopo cinque minuti ma senza il medico a bordo. I sanitari a questo punto conducono il paziente al pronto soccorso. Sono le ore 14.49 e gli viene assegnato un codice giallo. Colore che secondo le linee guida ministeriali indica una criticità media con rischio evolutivo e possibile pericolo di vita. Gulisano attende però due ore prima di essere visitato. Prima di lui una dottoressa, la stessa finita sospesa dai vertici dell’Asp e indagata dai magistrati, avrebbe deciso di visitare un altro paziente. Sempre con codice giallo ma arrivato in ospedale con la propria macchina alle 15.17, quindi 28 minuti dopo Gulisano. «Un comportamento degno di severa censura professionale e deontologica – si legge nella consulenza – perché non è consentito né giustificabile che si alteri la priorità e la cronologia delle visite a parità di codice».

Il presunto favoritismo nelle operazioni non riguarderebbe però solo Gulisano. Secondo quanto si legge nel documento il paziente giunto alle 15.17 e poi visitato alle 15.32, avrebbe scavalcato anche altre due persone, arrivate al pronto soccorso prima di lui – ma dopo Gulisano -. Tutte con il medesimo codice. Ovvero quello giallo. Rispettando l’ordine d’arrivo e quindi visitando la vittima si sarebbero potuti apportare «i primi step diagnostici, fornendo la migliore assistenza possibile», continua Arcifa. Sottoponendo Gulisano a un normale esame previsto dalla procedura si sarebbe quindi potuto rilevare «precocemente il danno miocardico e quindi sarebbe stato possibile trasferirlo rapidamente nell’unità di terapia intensiva, dove lo si sarebbe potuto sottoporre al più adeguato trattamento che il caso richiedeva».

Gulisano a conti fatti viene visitato soltanto quando le lancette segnano le ore 16.43, trascorse quindi ben due ore dal suo arrivo all’ospedale di Acireale. Poco dopo all’interno della sala medica si verifica un improvviso arresto cardiocircolatorio che impone l’intervento di un cardiologo e del rianimatore. I camici bianchi provano a tenerlo in vita con adrenalina e defibrillatore ma il paziente muore, secondo gli atti, alle 17.35. A denunciare la vicenda alla magistratura è stato il fratello della vittima, Sebastiano. Per tenere accesa la memoria del parente e puntati i riflettori sull’inchiesta ha deciso di mettere la sua foto come profilo su Facebook. «Lo hanno lasciato morire un anno fa al pronto soccorso (si fa per dire) di Acireale, due giorni prima che compisse 48 anni. Questa sarà la mia foto-profilo finché non otterrà giustizia». Un anno dopo una morte che forse si poteva evitare. 


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