Il pizzo? Facciamogli la festa

L’evento ha per titolo uno slogan accattivante, “No pizzo, Si parti!”. Si terrà il prossimo 11 febbraio al centro culturale “Zo” che l’ha organizzato insieme all’associazione Addiopizzo. Con questa festa si vuole lanciare un messaggio forte e chiaro alla città «e cioè che c’è un’alternativa al pagamento del pizzo», come ci spiega Lorena Bruno, attiva componente dell’associazione che ormai da anni è presente sul territorio per lottare contro il racket delle estorsioni.

Lorena, da dove nasce l’idea di organizzare una festa per ricordare quanto sia importante non pagare il pizzo?
«Ci piaceva l’idea di festeggiare il nostro compleanno, ma ovviamente ci sono altri motivi più importanti, come farci conoscere dalla città e soprattutto dai giovani. E poi il motivo alla base dell’iniziativa è quello della sensibilizzazione. Ci si diverte, ma è anche un momento per riflettere, per lanciare un messaggio ben preciso, e cioè che c’è un’alternativa al pizzo. Le associazioni anti-racket, lo Stato e le forze dell’ordine si impegnano per essere vicine alle vittime delle estorsioni e troppa gente non lo sa o non ci crede. C’è molta paura in giro e questo non fa che aumentare il potere della mafia sui commercianti. Noi siamo qui per un invito al coraggio, per non lasciare da solo chi vuole uscire da situazioni difficili e delicate. Insieme è tutto più facile. Ci sono altri che condividono le nostre idee e che hanno aderito a questo progetto senza pensarci due volte. Senza di loro questa festa non sarebbe stata possibile: François e le Coccinelle che si esibiranno sul palco, Radio Zammù e ovviamente Sergio Zinna e Felicita Platania del centro culturale “Zo”. Il loro contributo oltre ad essere fondamentale sarà anche gratuito, dato che ci hanno permesso di ospitare l’evento. Inoltre non posso fare a meno di ringraziare anche Agata Pasqualino e Anna Interdonato, il loro apporto è stato determinante».

Può parlarci di quello che la vostra associazione ha fatto sino ad ora per contrastare il fenomeno del pizzo, sia verso i commercianti che verso i consumatori, del contrasto alla cultura mafiosa attraverso il “consumo critico”, degli incontri di formazione e informazione e degli eventu da voi organizzati con scuole e studenti universitari?
«Addiopizzo opera a molti livelli. Anzitutto ci impegnamo a stare accanto a chi denuncia e partecipiamo alle udienze, ad esempio. Siamo andati a raccogliere le arance di un piccolo proprietario che si è rifiutato di pagare il pizzo ed è rimasto solo nel suo paese, senza nessuno che lo aiutasse a non far marcire la frutta sugli alberi. Seguiamo il progetto che è alla base dell’associazione, ossia il “consumo critico”, cioè dare la preferenza a tutti quegli imprenditori che dichiarano di non pagare il pizzo. Abbiamo raccolto circa tremila firme di cittadini che si sono impegnati moralmente a comprare dai commercianti “pizzo-free”, ed a breve saremo pronti a presentare una mappa degli esercenti. Adesso siamo concentrati proprio su questa fase e non è facile, purtroppo. E poi ci sono molte altre iniziative che ruotano attorno a questa. Abbiamo organizzato degli incontri a scuola e nelle università, portando con noi un commerciante che ha denunciato, che ha raccontato la sua esperienza e un magistrato che potesse far inquadrare il fenomeno dal punto di vista giuridico. Inoltre abbiamo organizzato anche un seminario sulla mafia alla Facoltà di Lettere ed anche un ciclo di incontri a Giurisprudenza, ma c’è tanto altro ancora».

Quali sono le prossime iniziative che Addiopizzo sta organizzando?
«Senza perdere di vista il progetto del consumo critico, siamo sempre in contatto con le scuole e le università, dove ci saranno degli incontri sui temi della mafia e del pizzo, e facciamo parte del Comitato per la legalità nella festa di Sant’Agata».

Perché per combattere Cosa Nostra è così importante non pagare il pizzo?
«Si è perso di vista il motivo per cui non si deve pagare il pizzo, perché spesso viene considerato normale o come l’unica scelta che garantisca un po’ di pace, ma non è affatto così. Non è giusto pagare alcuna cifra sul guadagno del lavoro onesto a chi ruba, uccide, spaccia, a chi costituisce un vero e proprio anti-stato. Dovremmo avere più considerazione del nostro lavoro onesto e non permettere a nessuno di sfruttarlo. È un diritto e un dovere dire no, denunciare chi chiede il pizzo, è giusto essere liberi e cominciare a combattere seriamente la mafia anche in memoria di tutte quelle persone che sono state uccise; è il momento di stare insieme in questa battaglia e non di isolarsi nella paura».


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