Coop Sicilia: buco da 100 mln, chiudono 5 negozi Nel Catanese quasi metà dei lavoratori in esubero

Chiusura dei punti vendita di San Giovanni La Punta e Zafferana Etnea, oltre che degli uffici all’interno del polo commerciale Le Zagare, e licenziamenti del personale considerato in esubero negli altri negozi: Bronte, Le Ginestre di Tremestieri Etneo, Katanè di Gravina di Catania e Le Zagare di San Giovanni La Punta. È questa la cura immaginata per la provincia di Catania da Coop Sicilia spa, la società che gestisce le sedi siciliane del colosso italiano della grande distribuzione. Le altre chiusure in Sicilia sono previste a Casteldaccia e Palermo Volontari (Palermo) e Ragusa, mentre si aprono le porte della procedura di mobilità per i lavoratori dei punti vendita La Torre-Borgonuovo e Forum di Palermo Roccella, e Milazzo. In totale si parla di 273 esuberi dei quali quasi la metà (134) nell’area metropolitana di Catania.

La comunicazione di Coop Sicilia spa alle sigle sindacali e all’ispettorato del lavoro della Regione Siciliana è dell’1 giugno. Poi la festa della Repubblica, il fine settimana e il tempo di capire che cosa stesse accadendo. Per i dipendenti un fulmine a ciel sereno, non altrettanto per la società che – scrive nei motivi che determinerebbero la situazione di eccedenza – avrebbe registrato «un negativo nel 2016 pari a 18.602.000 euro». Che si somma a quel 22.438.000 registrato nel 2015. «Tutte le misure adottate non hanno sortito i risultati sperati – scrive Coop Sicilia spa – I dati economici dell’ultimo quinquennio di detti negozi sono piuttosto eloquenti, con una perdita di 102,8 milioni di euro». Numeri enormi, ai quali fa da contraltare l’annunciata crisi occupazionale.

La società ha sede a San Giovanni La Punta e impiega 1068 dipendenti. Il piano di risanamento economico prevede il rinnovamento della rete di vendita e l’apertura in punti più attrattivi, nuove politiche commerciali, più focalizzazione sui prodotti locali e, in ultimo, una «manovra di riposizionamento sui prezzi e revisione delle promozioni». Per fare tutto questo, però, sarebbe emerso «un consistente esubero di personale sia sotto il profilo quantitativo, soprattutto in ragione della chiusura di cinque punti vendita e della sede, sia sotto il profilo tecnico». La decisione di avviare le procedure di mobilità sarebbe stata, quindi, «inevitabile». 

A farne le spese sono i 13 dipendenti che dovranno lasciare Le Ginestre, i 18 considerati in esubero al Katanè, i 12 che perderanno il posto al supermercato di San Giovanni La Punta, i 22 esuberi a Milazzo, gli 83 a Ragusa e tutti gli altri lavoratori dislocati in giro per la Sicilia e che concorreranno al raggiungimento della quota dei 273 esuberi. «Non accetteremo mai l’equazione per cui le difficoltà finanziarie sono uguali al licenziamento del personale», dice Sergio Aliprandi della Filcams Cgil, inviato a Catania per seguire da vicino la vicenda dell’avvio della procedura di mobilità. «La Coop Sicilia – continua Aliprandi – deve prima dare chiara dimostrazione concreta, iniziando a tagliare gli sprechi, gli alti costi per i manager, i benefit elargiti ai quadri e responsabili di settore in maniera unilaterale».

«Se ci sono state improvvide operazioni finanziarie e di programmazione nella rete vendite, prima paghino i responsabili – aggiunge il sindacalista – Solo dopo tutto questo chiarimento siamo disponibili a ragionare per come utilizzare al meglio tutti gli ammortizzatori sociali previsti dalla legge per salvare tutti i posti di lavoro». Dichiarazioni dure che fanno da sfondo a una battaglia che, se non si dovesse risolvere prima, si annuncia durissima. «Non potrà esserci alcun licenziamento in Sicilia – conclude Aliprandi – Questa terra è già martoriata da un forte tasso di disoccupazione, soprattutto giovanile». E giovane è, molto spesso, anche chi lavora alla Coop. L’esperienza siciliana comincia nel 2008 ma si fa difficile nel 2013, quando vengono acquisiti cinque punti vendita di una Aligrup al collasso. Il colosso puntese del re dei supermercati Sebastiano Scuto: sul patron Aligrup pesano le ombre del finanziamento della mafia; mentre sul crack dell’impresa quella di un’inchiesta che coinvolge anche gli amministratori giudiziari nominati dallo Stato.


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