Carcere piazza Lanza, detenuti in sciopero della fame «Nessun mediatore per stranieri e sovraffolamento»

Una situazione in miglioramento ma che presenta ancora molte criticità, in particolare per quanto riguarda l’annosa questione del sovraffollamento. È questa l’istantanea fotografata da una delegazione del partito Radicale, che nei giorni scorsi si è recata nella casa circondariale di piazza Lanza, a Catania. L’obiettivo era quello di verificare le condizioni di detenzione e incontrare i detenuti. Tra chi è dietro le sbarre, in massa hanno aderito all’iniziativa del satyagraha. Un metodo di opposizione non violenta che prevede una tre giorni di sciopero della fame estesa all’intero territorio nazionale: da Palmi a Secondigliano, passando per Trieste, Torino e Parma. Con la volontà di ottenere dal governo i decreti legge per l’attuazione della riforma penitenziaria, che prevede, per esempio, il potenziamento delle misure alternative al carcere e l’incremento delle opportunità di lavoro. 

Lo sciopero della fame, iniziato il 16 agosto, terminerà domani. Durante questa tre giorni i detenuti hanno inoltre deciso di devolvere alla Caritas il vitto fornito dall’amministrazione penitenziaria. Secondo quanto fanno sapere dal partito Radicale la casa circondariale di piazza Lanza continua a fare i conti con l’ormai storico problema del sovraffollamento. Il 15 agosto – giorno della visita della delegazione composta da Gianmarco Ciccarelli, Donatella Corleo, Giulia Cumitini, Luigi Recupero ed Eliana Verzì – i detenuti presenti erano 350 a fronte di una capienza regolamentare di 253 posti, per un affollamento pari al 138 per cento. La punta massima registrata nel 2017 è quella del 31 gennaio, quando la percentuale era arrivata al 147 per cento, che rappresenta il numero più alto di tutta la Sicilia. 

A piazza Lanza 331 detenuti sono uomini mentre si trovano attualmente recluse 19 donne. Gli stranieri sono in totale 84. Secondo i dati diffusi dai Radicali in 76 hanno una condanna definitiva mentre 274 sono in attesa di un giudizio. Sono 41 i detenuti tossicodipendenti e altrettanti quelli affetti da patologie di tipo psichiatrico. Le criticità riguardano anche l’organizzazione della polizia penitenziaria che può contare su 234 agenti in servizio a fronte di una pianta organica che prevede la presenza di 395 unità. Sotto organico però ci sono anche gli educatori, soltanto tre rispetto ai sei previsti. Non è invece presente nessun mediatore culturale per gli inquilini di nazionalità straniera. Ritardi e carenze riguardano inoltre il sistema sanitario, che è a carico della Regione.  «Gli stranieri – spiegano a MeridioNews dai Radicali – sono principalmente accusati di spaccio di droga o di essere degli scafisti. Non c’è un mediatore culturale e per queste persone è impossibile comunicare con le famiglie o riuscire a sopperire alle esigenze della quotidianità in carcere».

Tra le note positive che vengono evidenziate dai Radicali c’è invece il rapporto tra carcerati e forze dell’ordine. «Si deve in primo luogo alla professionalità della direttora Elisabetta Zito e della comandante di polizia penitenziaria Simona Verborosso, nonché alla maturità della popolazione detenuta che, ancora una volta, ha scelto di utilizzare il metodo della non violenza per porre all’attenzione della politica e dell’opinione pubblica le proprie legittime istanze e rivendicazioni di diritti».

Sembra quindi decisamente lontano il 2012, quando la situazione della casa circondariale etnea era stata bollata come «drammatica e ingestibile». Sovraffollamento al 300 per cento con una popolazione che ha superato le 500 presenzedetenuti stipati in 12 dentro a celle grandi al massimo 22 metri quadrati. I letti a castello, chiamati i grattacieli, avevano il punto più alto distante venti centimetri dal tetto. Un capitolo a parte è quello dei suicidi, che riguardano sia gli agenti della polizia penitenziaria sia chi è dietro le sbarre. Uno dei casi più noti è quello di Carmelo Castro. Giovane di 19 anni che si sarebbe ucciso nel 2009 impiccandosi nel reparto Nicito. Tesi mai condivisa dalla madre che ha chiesto a più riprese l’apertura delle indagini.


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