Gli alloggi popolari cadono a pezzi al viale Moncada «Infiltrazioni e fogne aperte 15 giorni dopo consegna»

Avere
una casa popolare a Catania è un po’ come fare sei al Superenalotto. Ci vuole pazienza e una consistente scorta di fortuna. Lo sanno bene Ivan, Francesco, Amed e le altre famiglie che dal 10 agosto hanno beneficiato della consegna delle chiavi dei nuovi alloggi del viale Moncada 12, nel quartiere dormitorio di Librino. Edifici di proprietà del Comune etneo composti da due palazzine di tre piani che ospitano quasi un centinaio di persone in 24 abitazioni con altrettanti garage. A distanza di poco più di 15 giorni, quando la cerimonia officiata in prima persona dal sindaco Enzo Bianco e dall’assessore al Welfare Fortunato Parisi rimane solo nei video registrati sugli smartphone, lo spaccato da raccontare sfiora il paradosso con due stabili che già cadono a pezzi. Tombini con scarichi fognari a cielo aperto, lavori incompleti, infiltrazioni d’acqua, porte che cadono addosso alle persone, muri che si sbriciolano, ringhiere pericolanti e anche la storia di una doppia occupazione.

«
Lo vedi questo muro? È fatto di carta. Viviamo in un palazzo di carta, ci hanno preso per il culo». Mentre pronuncia queste parole Amed, di origini marocchine, assesta qualche colpo nella parete del suo soggiorno. «È tutto in cartongesso, anche la facciata è fatta così. Questa è una truffa». Subito dopo ci spostiamo in balcone, in quello che poi scopriremo essere il ritornello comune di tutti gli assegnatari. Amed afferra la ringhiera e inizia a muoverla: l’inferriata sembra staccarsi. «È fissata con due tasselli sulla parete di cartongesso. C’è il rischio che i bambini cadano sotto». 

All’ingresso di questi palazzoni, che da lontano hanno pure un aspetto gradevole, c’è
Francesco. Lui aspettava casa dal 1990 e adesso, dopo tanti problemi, sta finalmente trasferendo gli ultimi arredamenti dall’unico vano, nel quartiere di San Cristoforo, dove viveva con la sua famiglia formata da cinque persone. Sposta una tavola di legno con i piedi e ci mostra quello che c’è sotto. «Questo è un tombino della fognatura. Hanno fatto finta di niente e hanno lasciato tutto così e io sono stato costretto a fare le coperture». Non è l’unico pozzetto in questa condizione nel perimetro del palazzo. Poco più avanti anche quelli della corrente elettrica sembrano poter cedere da un momento all’altro. «Qui passano i cavi della luce, ma guardate com’è». Francesco fa una leggera pressione sul cemento con il piede e tutto si muove pericolosamente.

I garage sono tutti senza saracinesche e si è arrangiato per mettere in sicurezza la propria automobile e alcuni attrezzi per il lavoro. «Ci hanno detto che sistemeranno. Intanto questa è la copertura che io stesso ho realizzato». Francesco mostra orgoglioso la sua saracinesca artigianale in legno. «Ho utilizzato il materiale abbandonato per strada dalla ditta». Il cortile del palazzo, che non è stato chiuso, è pieno di bambini. Molti provengono dai palazzoni confinanti. Per cercare di mantenere sotto controllo la vita condominiale, ed evitare presenze indesiderate, gli abitanti hanno affisso alcuni cartelli. Da quello che invita a non buttare le cicche a terra, fino al foglio A4, scritto con un pennarello nero, che spiega di «chiudere sempre il portone». Espedienti che però non rendono più tranquille le notti della moglie di Amed. «Dopo la consegna ho aperto la porta e mi è caduta addosso e ora sono costretta a dormire in soggiorno». Il timore comune è quello delle occupazioni abusive, come già avvenuto al terzo piano. In un alloggio, non è chiaro da chi, sono stati portati via anche anche i termosifoni.

Ad aprire la porta della sua nuova casa è anche
Ivan, 32 anni e tre figli. Vive con la famiglia e ha finito il trasloco dal corso Indipendenza, «dove pagavamo 400 euro al mese». La saracinesca elettrica della cucina è già smontata. «Si è rotta il primo giorno», racconta. C’è poi il bagno. «Il piatto doccia non ha nessuna pendenza e ogni volta che ci laviamo l’acqua arriva nel corridoio». E a proposito di acqua, c’è anche quella che passa nei garage: basta alzare gli occhi per vedere diverse infiltrazioni nei tetti. In uno dei box auto, passati 15 giorni dalla consegna, c’è addirittura l’acqua che gocciola e in diversi casi si vedono i tubi di scarico e i piatti delle docce dei bagni. 

Ma cosa succederà adesso? A muoversi è la sezione etnea di Sunia, sindacato nato per tutelare i diritti di assegnatari e inquilini. «Abbiamo gioito con e per gli assegnatari al momento della consegna degli alloggi – spiegano a MeridioNews la segretaria generale Giusi Milazzo, insieme a Dario Gulisano, della segreteria provinciale di Catania -, oggi non possiamo esimerci dall’operare una stringente azione di controllo sull’efficienza dell’implementazione di questa non certo risolutiva ma comunque importante opera pubblica. Abbiamo già inviato delle note agli uffici competenti chiedendo un immediato sopralluogo, il completamento degli stessi e la valutazione di eventuali responsabilità per fare in modo che l’acquisizione di un diritto fondamentale come quello alla casa e a una vita dignitosa non assuma i caratteri di una beffa».


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