Uccise la figlia 12enne, ergastolo per Roberto Russo Nel 2014 omicidio e tentato suicidio a S. G. La Punta

Dal 22 agosto 2014 a oggi sono passati più di tre anni. E adesso Roberto Russo è stato condannato all’ergastolo (con isolamento diurno per quattro mesi, interdizione dai pubblici uffici e perdita della potestà genitoriale) per l’omicidio della figlia 12enne, e per grave ferimento della sorella maggiore di lei, che in quei giorni aveva 14 anni. La decisione di piazza Verga arriva a poco più di due settimane dalla richiesta di pena formulata dalla magistrata Agata Santonocito, che per l’uomo – oggi 50enne – aveva chiesto il carcere a vita. Stamattina, in udienza, hanno parlato la pm, l’avvocato Giuseppe Lo Faro (che assiste la madre, Giovanna Zizzo, e la famiglia, tutti parte civile) e quello di Russo, Antonio Patti (che compone il collegio difensivo assieme al legale Mario Brancato). Prima che le giudici Maria Concetta Spanto, con a latere Alba Sammartino, si chiudessero in camera di consiglio intorno alle 10.30, per uscirne alle 13.20.

La difesa di Russo aveva chiesto una nuova perizia psichiatrica, sostenendo l’incapacità di intendere e di volere dell’imputato. Tesi opposta a quella della procura e di Lo Faro, che aveva sostenuto la premeditazione del gesto. L’assassinio è avvenuto in via della Regione, a San Giovanni La Punta. Le due ragazze dormivano insieme nel letto matrimoniale, quando il padre le ha colpite con un coltello per poi conficcarsi la lama nel petto, tentando il suicidio ma guadagnandosi solo una grave ferita. A tentare di fermarlo, quella mattina, i due figli dell’aggressore. L’uomo, operaio disoccupato da poco diventato venditore ambulante di frutta, si era di recente allontanato dalla moglie, che era tornata a vivere a casa dei genitori. 

Ad aprile 2016, nel processo a carico del padre, una delle testimonianze clou era stata quella di Andrea. «Nei mesi precedenti lo vedevo strano, ma in particolare tre giorni prima che accadesse tutto, mentre in televisione scorreva la notizia di un delitto in una famiglia, lui mi disse che capiva perché accadevano determinate cose», aveva detto davanti alla corte. Parlando esplicitamente di un’«ultima cena» voluta da Roberto Russo prima del fatto, per condividere una pizza con i familiari qualche ora prima del delitto. «Si era fatto prestare 200 euro perché ci voleva tutti insieme, io gli dissi che poteva anche evitare di farlo e mangiare tranquillamente a casa».

Alcuni giorni dopo l’assassinio, Roberto Russo si trovava ricoverato all’ospedale Cannizzaro di Catania per il colpo che si era auto-inferto all’addome. Davanti alla procuratrice e alla giudice per l’udienza preliminare – andate a interrogarlo – era scoppiato a piangere, domandandosi perché non fosse riuscito ad ammazzarsi con il coltello da cucina. Un intento suicida che l’allora 47enne aveva messo nero su bianco in una lettera destinata ai familiari e acquisita agli atti del processo. Un messaggio che, dopo avere ripercorso un recente passato difficile, si concludeva con un verbo al futuro: «Ci rivedremo nell’aldilà».


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