Tutti i problemi di Pennac al teatro Massimo Bellini «Proiettore saltato? Diciamo che è stata sfortuna»

«Ancora non mi sono ripreso del tutto. Quella giornata l’ho vissuta con livelli di stress enormi». Sergio Zinna, direttore artistico del centro culture contemporanee Zo, ha passato il 6 marzo tra i corridoi e il cortiletto del teatro Massimo Bellini di Catania a tentare di capire come ricomporre la crisi in corso. Quella per cui, praticamente fino all’inizio dello spettacolo, il palcoscenico più importante della città non era pronto ad accogliere Un amore esemplare, di e con lo scrittore francese Daniel Pennac. «Mi mancano da chiamare solo il papa e il presidente della Repubblica, mon amì», diceva all’autore del ciclo di Malaussène. «Avevamo passato due giorni straordinari, quella serata era il coronamento di un’esperienza fantastica – racconta Zinna a MeridioNews – E invece è stato un incubo. Da cui poi, però, è venuta fuori una rappresentazione incredibile, che ha messo in risalto la professionalità e la bravura di una compagnia di grandissimi artisti e bellissime persone».

Zinna, che cosa è successo il 6 marzo al teatro Bellini?
«Dobbiamo fare un passo indietro e arrivare al giorno prima, lunedì. La compagnia si trovava a Catania con un po’ di anticipo, e mi aveva chiesto di potere iniziare ad allestire il palco in anticipo, anziché il giorno stesso. Io ho avanzato questa richiesta per loro conto, ma mi è stato risposto, da una persona che si è presentata come un responsabile tecnico, che non era possibile perché il lunedì era giorno di riposo. Noi però siamo riusciti a ottenere, tramite il soprintendente, la possibilità di fare almeno un sopralluogo. Cosa che l’indomani mattina è stata rinfacciata al produttore delegato. Io non c’ero, ma hanno avuto la sensazione, e poco dopo l’ho avuta anch’io, che ci fosse in atto una specie di inspiegabile ostracismo».

Inspiegabile perché?
«Perché nessuno ha reso partecipi gli artisti e la compagnia di eventuali vertenze sindacali in corso o di problemi con la scheda tecnica e l’organizzazione della rappresentazione. Se qualcuno lo avesse spiegato, magari avremmo anche potuto supportarli. Invece è stato alzato un muro del tutto gratuitamente. Ovviamente non posso parlare di ciò che attiene alle dinamiche interne dell’ente, posso parlare di quello che ho visto coi miei occhi. E ho visto diversi componenti dello staff tecnico del Bellini comportarsi come se volessero dimostrare di essere a casa loro, con un approccio più da proprietà privata che da ente pubblico. Io penso che i passaggi della catena di comando siano stati fatti, ma nei prossimi giorni avremo un incontro con la direzione del Massimo e capiremo anche il loro punto di vista».

Il capitolo Un amore esemplare, quindi, non è ancora del tutto chiuso. Anche perché, era una co-produzione tra lo Zo e il Bellini, era scritto così sulle locandine.
«No, non direi che sia un capitolo chiuso. Noi siamo disponibili ad ascoltare e vogliamo capire davvero di chi siano state le responsabilità. Se Daniel Pennac e i suoi non avessero avuto un profondissimo rispetto del pubblico, lo spettacolo non si sarebbe fatto. E per noi sarebbe stato un colpo pesantissimo dal quale riprenderci. Abbiamo investito tanto in questa rappresentazione, perché ci abbiamo creduto dall’inizio. La dicitura della co-produzione col Bellini era più relativa alla questione della sala, l’impegno economico lo abbiamo sostenuto per intero noi di Zo».

Quando è saltata la proiezione dei fumetti di Florence Cestac, abbiamo pensato che si trattasse di un problema del proiettore, il cui fissaggio era stato – nel pomeriggio – uno dei punti messi in discussione dall’allestimento tardivo. Invece, pare che non sia stato quello a fare saltare le immagini.
«È stato un problema di alimentazione della telecamera. In altri termini: abbiamo trovato una ciabatta spenta. Prima abbiamo abbiamo verificato che la telecamera fosse funzionante, e lo era. Poi ci siamo accorti della presa staccata, sul retropalco. Qualcosa deve essere successo. Ma siccome non so cosa, dico solo che la sfortuna si è accanita particolarmente. La compagnia, però, ha reagito in modo straordinario. Uscendo da teatro ho sentito molti spettatori che avevano il dubbio che fosse tutto organizzato, tanto sono stati bravi. Ma mi sento responsabile per averli portati in quel campo minato».

Come prima esperienza di collaborazione con il Bellini è stata sfortunata, per usare lo stesso termine di prima. Ce ne saranno altre?
«Il nostro spirito è sempre di piena collaborazione. Noi pensiamo che questa città abbia bisogno di ricostruire un tessuto socio-culturale profondamente sfilacciato. Se facciamo rete e ci impegniamo tutti insieme i risultati dei nostri sforzi si moltiplicano. Io ci credo profondamente. Incontreremo anche la nuova direttrice artistica del Teatro Stabile, con cui speriamo di riuscire a fare qualcosa. Facciamo questo mestiere da tanti anni, di sicuro non è un settore in cui si diventa ricchi e non mi interessa fare guerriglie con nessuno. Quando si lavora con la cultura, ai livelli a cui lo facciamo noi, si devono avere obiettivi concreti. Qui dobbiamo lavorare sul ricambio generazionale del pubblico e se lo facciamo insieme possiamo essere più incisivi».

Coi lavoratori del Bellini, l’ho sentita parlare della questione dei tagli ai finanziamenti pubblici.
«Sì e dicevo che si può fare bene anche con poco. Questa è la nostra filosofia da sempre, sappiamo cosa significa lavorare con difficoltà. Qualcuno mi ha detto che forse, per evitare i problemi che ci sono stati, avrei dovuto parlare con i sindacati. Dal nostro punto di vista, sembrava una cosa assurda. Ci sono deficit di personale da una parte e sovraccarichi da un’altra parte. Enti come il teatro Bellini sono pachidermi con grosse falle, non sono strutturati per essere efficienti in modo contemporaneo».


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