Garbage affair, la «fiducia» del sindaco in Orazio Fazio «Se a Bianco lo pompo, il primo che butta fuori sei tu»

«Io sono nel gabinetto del sindaco, sono là con doppio incarico perché ci faccio tutto. Il mio dirigente, il mio direttore e il mio assessore è il sindaco… Sono la persona fiduciaria». Orazio Fazio, ormai ex responsabile del settore Nettezza urbana del Comune di Catania, sa di godere del sostegno del primo cittadino Enzo Bianco. E non ne fa mistero mai, parlando con i colleghi. «Sono tutt’ora interno delle attività ispettive del sindaco», continuava, senza sapere di essere intercettato nell’ambito dell’inchiesta Garbage affair. E così tutto doveva passare da lui, comprese le penali per i disservizi delle aziende che si occupavano della raccolta dei rifiuti: Senesi ed Ecocar. Quest’ultima coinvolta nelle persone dei suoi vertici reali (Antonio Deodati) e formali (Francesco Deodati). «Le penali le debbo fare io. Perché loro non sono nessuno!», affermava Fazio, mentre le cimici della procura di Catania lo registravano. Del resto, che qualcosa di strano ci fosse nel sistema di accertamento delle inadempienze delle imprese era chiaro da qualche tempo. Cioè da quando l’inchiesta che aveva travolto il Comune di Aci Catena aveva suggerito di accendere un faro sul sistema delle sanzioni anche a Catania, evidenziando come a Sen.Eco. ne fossero state comminate pochissime, sempre dello stesso importo. Poco dopo la pubblicazione dell’articolo di MeridioNews sulla vicenda, il primo cittadino e il dirigente dell’Ecologia Leonardo Musumeci (anche lui indagato) chiarivano di avere effettuato nuovi controlli, quintuplicando di fatto l’importo delle multe fatte alle ditte. «I sorveglianti non devono fare rilievi se prima non parlano con me», diceva Fazio.

«Le do una buona notizia», cominciava Musumeci ad aprile 2017 parlando con Fazio. «La gara è stata aggiudicata», affermava. Il riferimento è al mini-bando da 12 milioni di euro e della durata di 106 giorni, tuttora vigente in regime di proroga. «Basta, concluso tutto – aggiungeva il dirigente – E si sono presi tutti gli operai». Dall’altra parte della cornetta, Orazio Fazio sa già tutto. Ma poi aggiunge, ridendo: «Le nuove ditte, che sono quelle vecchie». Perché che Eco.Car. condividesse la proprietà con la Ipi, appena uscita dall’appalto comunale, era chiaro a tutti. Già a partire dalla sede legale che, per un periodo, era stata nello stesso posto. Il filo rosso tra le due imprese, però, avrebbe potuto creare problemi. Soprattutto per via di quella interdittiva antimafia che pendeva sulla testa di Ipi – e, quindi, di Deodati – dal 2014. «Io dall’Eco.Car. sono uscito», confida Antonio Deodati a Massimo Rosso, ragioniere generale del Comune di Catania e indagato anche lui nella stessa inchiesta. «Così non c’è conflitto d’interessi – chiarisce Deodati a Rosso – Mo’ sostituisco pure Francesco, così levo proprio il nome Deodati. Mi hanno detto leva ‘sto cazzo di nome Deodati».

Il segreto di Pulcinella doveva rimanere nascosto, per permettere a Eco.Car di rimanere a lavoro nel capoluogo etneo il più a lungo possibile. A pensarci sarebbe stato, del resto, Massimo Rosso. «Io mi pregio di avere una qualità che è questa – ammetteva, con modestia, parlando con l’imprenditore romano – Di individuare soluzioni». In quella circostanza, il riferimento sarebbe stato alla gara d’appalto settennale. Un affare da 350 milioni di euro al quale nessuna ditta ha tentato di partecipare per ben tre volte. Secondo Rosso, le modifiche necessarie per rendere quel bando appetibile alle aziende (e allo stesso Deodati, che parlando con questa testata aveva ammesso l’interesse a partecipare alla gara, senza Senesi) avrebbero dovuto essere fatte con particolare attenzione. Una cura speciale necessaria a evitare che passassero dal vaglio del Consiglio comunale di Catania. «Se io faccio delle modifiche a quello (il piano d’intervento, ndr) devo tornare in Consiglio comunale… Quindi io devo camminarci attorno, trovare le disposizioni per camminarci attorno. Io devo trovare dei meccanismi che stanno, diciamo così, in un ambito concettuale… Ma che stanno fuori al piano di intervento».

Le soluzioni concettuali di Rosso, per Deodati, avrebbero avuto un costo piuttosto elevato. Quasi 20mila euro all’anno per l’appartamento a Roma che avevano in affitto le due figlie del ragioniere generale (che è anche presidente della società di regolamentazione dei rifiuti di Catania), studentesse all’università La Sapienza. «Tony, Tony, ma quanto pensi che durerà questa casa?», domanda ad Antonio Deodati il suo fedelissimo, adesso ai domiciliari, Antonio Natoli, ingegnere ex Ipi, transitato in Sen.Eco. La risposta, riporta Natoli al suo interlocutore, sarebbe stata lapidaria: «Fino a quando non si laureano, sei o sette anni». Un investimento della durata di un maxi-appalto, a fare i conti.

A fare da sfondo a tutta la vicenda, poi, c’è il convitato di pietra di parecchie conversazioni: Rodolfo Briganti, rappresentante legale di Senesi, impresa mandataria nel raggruppamento d’imprese che gestisce la spazzatura a Catania. Deodati, in fondo, non aveva fatto mistero del suo fastidio nei confronti del suo socio. E ne aveva messo a parte anche il suo contatto, Orazio Fazio. È proprio quest’ultimo, infine, a ribadire il suo ascendente sul sindaco Enzo Bianco: «Se io pompo il sindaco contro… Se io dovessi dire al sindaco “Va male”, invece di parare il culo, il primo che butta fuori sei tu. Per questo mi sto stando zitto». Il senso è uno: se Fazio avesse espresso le sue perplessità sulla raccolta al primo cittadino, rischiava di andarci di mezzo anche Eco.Car., anziché solo Senesi. E questo, al fine di mantenere buoni rapporti con l’imprenditore romano, non sarebbe stata una cosa buona. Anche perché, altrimenti, chi avrebbe pensato poi a pagare le vacanze di Fazio e famiglia a Barcellona?


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