Valentina Milluzzo è morta il 15 ottobre 2016. Poco prima lo stesso destino per i gemelli che portava in grembo da cinque mesi. La procura ritiene di avere raccolto tutti gli indizi nei confronti del primario Paolo Scollo, di cinque medici e dell'anestesista. Il caso balzò alla cronaca per una ipotesi di obiezione di coscienza
Madre e figli morti al Cannizzaro, chiuse indagini Medici accusati di concorso in omicidio colposo
La procura di Catania ha chiuso le indagini sul decesso di Valentina Milluzzo, la donna, impiegata di banca, morta poche ore dopo i due gemelli che portava in grembo da cinque mesi. Gli avvisi sono stati notificati a sette medici dell’ospedale Cannizzaro di Catania, dove la mamma di 32 anni, originaria di Palagonia, era stata ricoverata nel reparto di Ginecologia dal 29 settembre 2016 per una presunta dilatazione anticipata dell’utero. Milluzzo muore nel primo pomeriggio del 15 ottobre 2016 e MeridioNews racconta per primo quella tragica vicenda, poi esplosa per la presunta presenza di un medico in corsia, indicato dai familiari come obiettore di coscienza.
Adesso, passati due anni, ad andare davanti il giudice per l’udienza preliminare saranno sette delle 12 persone finite inizialmente iscritte nel registro degli indagati. Si tratta del primario di Ginecologia Paolo Scollo e di cinque dirigenti medici: Silvia Campione, Giuseppe Calvo, Alessandra Coffaro, Andrea Benedetto Di Stefano e Vincenzo Filippello. Con loro anche l’anestesista Francesco Cavallaro. Nel fascicolo i sostituti procuratori Fabio Saponara e Martina Bonfiglio ipotizzano i reati concorso in omicidio colposo. Alla base della scelta, che potrebbe portare a una richiesta di rinvio a giudizio, ci sarebbero una lunga serie di presunte omissioni dei camici bianchi nella gestione della vicenda sanitaria della paziente.
Per i magistrati, com’è scritto nell’avviso di conclusione indagini che è stato depositato in cancelleria, ci sarebbe stata una «mancata instaurazione di antibioticoterapia». L’elenco delle accuse comprende anche «il mancato riconoscimento della sepsi e la mancata raccolta di campioni per gli esami microbiologici per tentare di diminuire l’infezione». C’è poi l’aspetto legato alla presunta «mancata rimozione di feti e placenta e la mancata somministrazione di globuli rossi». Per ripercorrere i passaggi fondamentali di questa storia bisogna ritornare al 29 settembre 2016, quando Milluzzo viene ricoverata al Cannizzaro. Il primo aborto spontaneo si verifica la notte del 14 ottobre, alle 23.30. Il secondo parto abortivo si registra all’1.40 di domenica mattina.
La mamma, invece, muore nelle prime ore del pomeriggio di domenica 15 ottobre, dopo essere stata trasferita in gravi condizioni nel reparto di Rianimazione del Cannizzaro. Deceduta, secondo quanto riferito dai medici, per una «sepsi con crisi emorragica dovuta a un’infezione». La stessa che, secondo i magistrati, non sarebbe stata adeguatamente riconosciuta e a cui sarebbe collegata anche l’altra presunta omissione relativa all’accusa della mancata raccolta dei campioni per cercare di ridurre la setticemia.
Un capitolo a parte merita la questione obiezione di coscienza, inserita nell’esposto della famiglia presentato ai carabinieri dopo che alcuni parenti avrebbero sentito un medico pronunciare la frase incriminata: «Sono un obiettore. Fino a che è vivo io non intervengo». Pista, anche a volerlo, tecnicamente non probabile. Come confermato da un’esperta a MeridioNews e come sottolineato dai vertici del Cannizzaro durante una conferenza stampa convocata appositamente per cercare di fare chiarezza sul caso. «Quello che è certo è che a 19 settimane i feti non avrebbero avuto alcuna possibilità di sopravvivenza», analizzava una ginecologa parlando con il nostro giornale. Tesi poi avvalorata anche dagli esperti inviati dal ministero della Salute, nella relazione firmata dal professore Francesco Enrichens. Secondo la versione dei familiari la 32enne sarebbe stata lasciata a lungo da sola, «senza essere sottoposta nelle settimane prima ad alcuni accertamenti». Presunte mancanze che per il legale della famiglia, l’avvocato Salvatore Catania Milluzzo, avrebbero contribuito ad aggravare il quadro clinico. Adesso dalle corsie dell’ospedale si passerà alle aule di giustizia.