Dario Montana querela Sud press «Scappo? Faccio solo il mio lavoro»

«Tutti conoscono le mie posizioni nei confronti della libertà di stampa. Non chiedo un risarcimento dei danni, ma che venga accertata la verità». Così Dario Montana spiega la scelta di presentare una querela contro Sud, il free press catanese di giornalismo investigativo diretto da Fabiola Foti. L’ex responsabile di Libera Catania si dice «attaccato sia per il mio passato con l’associazione che come familiare di una vittima di mafia». Fratello di Beppe Montana – il commissario di polizia ucciso da Cosa Nostra nel 1985 – Montana è stato accusato dal giornale di sottrarsi alle sue domande sulle presunte collusioni mafiose all’interno dell’Asi (Consorzio per l’Area di sviluppo industriale di Catania), di cui è commissario dalla fine del 2010. Affari poco puliti denunciati ad agosto dall’assessore regionale alle Attività produttive Marco Venturi. «Sapete cari lettori, come si fa ad intimidire un giornalista? – risponde Foti sul giornale alla notizia della querela – Ci sono due modi, lo spiega l’ordine: attraverso le violenze o le minacce, oppure attraverso le querele per diffamazione».

La storia comincia il 29 agosto, quando Sud pubblica la denuncia di Venturi: «I Consorzi si sono trasformati in carrozzoni clientelari e luoghi dove si fanno affari con soggetti collusi con la mafia, che invece di sostenere lo sviluppo delle imprese lo ostacolano». L’assessore porta due esempi: Caltanissetta e Catania. Il giornale allora – appellandosi alla riconosciuta sensibilità di Montana al tema della legalità – chiede al commissario Asi di «fare i nomi ed i cognomi dei funzionari collusi» a cui Venturi si riferisce e di trasmettere «le carte alla Procura Antimafia». Parole decontestualizzate, quelle dell’assessore, secondo Montana: nella sua versione integrale, spiega, non era certo una denuncia, ma un riferimento alla bocciatura della riforma dei Consorzi. Che prevedeva proprio uno snellimento dei ruoli dirigenziali e di sottogoverno, in cui possono annidarsi gli interessi citati da Sud.

E su questo fa leva Montana per spiegare la sua posizione. «Non è una notizia che a Catania la mafia sia soprattutto industriale – dice – Ma il nostro compito non è quello di cercare i mafiosi o sporgere denuncia in assenza di dati puntuali e precisi. Noi lavoriamo sulle procedure per l’assegnazione dei lotti alle imprese». E lo sforzo della sua amministrazione, continua, è quello di rendere queste norme il più trasparenti possibile e prevenirne la manipolazione. Un esempio è la recente decisione di comunicare alla Guardia di finanza le pratiche su ogni cessione di rami d’azienda. «Ci siamo accorti che questa è una criticità – spiega Montana – Dietro queste operazioni possono infatti nascondersi speculazioni edilizie. In questo modo invece la Finanza avrà uno strumento in più per verificare eventuali azioni sospette».

Forse proprio le risposte che mancavano a Sud. E’ il 2 settembre quando il giornale pubblica sul proprio sito un video, inserito agli atti della querela. Nelle immagini, un giornalista di Sud va al Consorzio per incontrare Montana ma non lo trova. Stessa sorta della direttrice che cerca di rintracciarlo al telefono. «Un silenzio imbarazzante», si scrive. «Dario Montana scappa», il titolo: «Ha il dovere di non sottrarsi a domande», scrive la redazione nei commenti. «Erano il 30 e 31 agosto, solo due giorni di fila, ed ero impegnato in due riunioni – spiega il commissario Asi – Non credevo di dover richiamare io». Tanto più che nel video «non ci sono né Montana – dice lui stesso – né le domande». «Un video satirico – ribatte Foti, direttrice di Sud, nel suo editoriale di domenica scorsa – Non voglio credere che in Italia sia finita l’informazione». «Voglio solo che si capisca qual è la verità», ripete Montana che ha annunciato da parte sua la richiesta  – qualora si arrivasse a processo – di un risarcimento simbolico di un euro. «Ero dirigente anche sotto Totò Cuffaro – conclude – e ho svolto il mio lavoro come sempre. Ero allora un colluso?».


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