Il post voto del M5s: occasione mancata o nuovo inizio? Grasso parla da leader: «Siamo di più, ma poco radicati»

Un bicchiere di latte di mandorla bevuto quasi tutto d’un fiato, in un tranquillo, forse solo apparentemente, lunedì pomeriggio a piazza Università. A pochi metri, in piazza Duomo, il neo sindaco Salvo Pogliese è presenza fissa dalla mattina, mentre dall’ingresso posteriore del municipio l’ormai ex primo cittadino Enzo Bianco varca la soglia a bordo di un’auto blu. Il day-after del candidato sindaco a cinque stelle, Giovanni Grasso, passa attraverso questa strana triangolazione. Ma lui sembra non accorgersene nemmeno: le ore dopo la chiusura dello spoglio servono per ragionare sull’occasione mancata del movimento più votato a tutte le ultime competizioni elettorali, oggi anche al governo nazionale in tandem con la Lega, ma che in città sembra non riuscire a fare il salto di qualità definitivo.

Grasso ha ricevuto la medaglia di bronzo. Terzo gradino dietro all’uscente ex ministro e al vincitore della coalizione del centrodestra. Adesso, per la prima volta nella storia, i pentastellati varcheranno il portone principale di Palazzo degli elefanti. E con l’aspirante sindaco ci saranno altri cinque consiglieri comunali – tra cui l’ex candidata alle amministrative del 2013 Lidia Adorno – segno che qualcosa è comunque cambiato rispetto a cinque anni fa. Quando il Movimento raccolse amare briciole e poche migliaia di preferenze. Oggi i numeri mettono la lista stellata davanti a tutti. Ma è innegabile che le aspettative erano maggiori e il sogno, chiuso nel cassetto, era forse quello di replicare gli exploit di Torino e Roma. Magari passando dal ballottaggio. «Con il 50 per cento ottenuto alle politiche c’era grande entusiasmo e devo dire che in tanti si sono spesi, a partire da Luigi Di Maio che ha molto apprezzato la nostra organizzazione e la piazza piena», spiega Grasso.

Il paragone con la tornata delle Politiche del 4 marzo è la base da cui partire con l’analisi. Basti pensare che tre mesi fa i quartieri popolari si erano schierati in massa con la creatura di Beppe Grillo. Un appeal, frutto di tanto malcontento, che adesso è già tramontato? «Le periferie hanno premiato Pogliese ma la verità è che bisogna radicarsi maggiormente sul territorio». Troppo difficile contrastare le truppe di candidati caf-dodati che fanno del clientelismo il loro punto di forza. Grasso sul punto non ha dubbi: «Bisogna interrogarsi su cos’è Catania, su cosa è stata e su cosa sarà. C’è – aggiunge – un problema culturale e di sudditanza». I panni sporchi, però bisogna trovarli e lavarli anche in casa propria. In questi cinque anni di amministrazione Bianco si poteva fare di più? «Secondo me, a non funzionare sono stati piuttosto gli anni precedenti al 2013. Dopo – spiega – la base si è allargata, a noi si sono avvicinate molte più persone e il risultato di adesso non può essere una casualità». Un obiettivobin ogni caso raggiunto con pochi ponti con l’esterno: parlamentari e senatori M5s etnei, infatti, non sembrano avere il seguito nutrito dei colleghi di altri partiti, nonostante i numeri imponenti con i quali vengono mandati a Roma. «Devo dire che i portavoce alla Regione sono quelli a noi più vicini – spiega – perché esprimono le istanze del territorio. E in questa campagna elettorale si sono spesi tanto».

Un po’ come lui, che in realtà da tempo si occupa di politica dal basso. Impegnato nell’attivismo civico orientato a sinistra, in passato Grasso è stato anche sul punto di candidarsi con Rita Borsellino alle Regionali del 2006, competizione difficile che vedeva schierata dall’altro lato l’armata di Totò Cuffaro. Ma l’impegno, questa domenica, non è bastato. Forse il Movimento poteva puntare su un volto più noto? C’è chi, nei mesi precedenti, parlava di Alessandro Di Battista, un messia da oltre lo Stretto. «Sì, qualcuno paventava un’opzione del genere, ma sarebbe contrario alla nostra visione della politica. Al primo posto sarebbe finita la funzione di una candidatura e non l’idea che c’è dietro». Un po’, ricorda Grasso, come quando «la Democrazia cristiana proponeva a Pippo Baudo di mettersi in lista». 

Il ragionamento viene interrotto da una stretta di mani inaspettata. Passa Sergio Parisi, ex assessore di Raffaele Stancanelli e futuro della squadra di Pogliese: «Ciao Giovanni, ti faccio i complimenti», dice. «Grazie tante», replica il candidato pentastellato. Solo il primo di numerosi incontri a cui sono destinati i due, perché Grasso in Comune, oltre alla medaglia di bronzo, porterà quella d’oro come consigliere comunale più votato. «È stata una candidatura fatta per dare un segno politico. Adesso saremo presenti e vigileremo», promette. Una sorta di anno zero perché «gioco forza bisogna essere nei posti di rappresentanza per fare sentire la propria voce». Magari nel ruolo di guida di quello che è a tutti gli effetti un drappello di giovanissimi consiglieri comunali.

Avere un punto di riferimento chiaro all’esterno è una novità per il gruppo pentastellato etneo. Uno dei tanti paletti del passato rimossi. Che il prossimo a cadere non sia quello dell’unica lista, principale limite agli obiettivi grillini? A conti fatti, alle amministrative di Catania si è faticato molto. Pogliese schierava nove compagini, cinque quelle di Bianco. Senza contare le liste alle circoscrizioni e quelle degli altri candidati a sindaco. Un totale di 1200 aspiranti contro i 90 a cinque stelle. Per invertire la rotta, nel 2023 troveremo la lista Amici a cinque stelle di Giovanni Grasso? «No, perché avere tutte quelle liste è sinonimo soltanto di una cosa: compromesso – conclude -. Una parola che è lontana anni luce dai nostri principi. Un modo di fare politica che negli ultimi 50 anni ha paralizzato l’Italia e la Sicilia».


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