Giovani, memoria, Europa La lotta alle mafie comincia da qui

C’erano -2°C fuori, ma il sole bulgaro di Sofia non pareva farci caso. E neanche i partecipanti del Forum Legalità e contrasto alle mafie in Europa (in inglese Legality and struggle against mafias in Europe), avvenuto sabato 19 novembre.

L’evento è stato organizzato dall’organizzazione non governativa European Alternatives, assieme a Flare (acronimo per Freedom, Legality and Rights in Europe), una grande rete che racchiude decine di associazioni in quasi tutti i Paesi del Vecchio Continente, il cui scopo comune è sensibilizzare i cittadini e le istituzioni pubbliche verso una più concreta, efficace ed internazionale lotta alle mafie.

C’era un gran calore nelle stanze dell’evento, e non solo per i termosifoni calibrati al massimo. C’era la passione di tanti giovani, gente della stessa età di chi scrive e di molti che leggono, nei cui gesti e parole si poteva intuire una genuina voglia di fare, di agire. Per contrastare le mafie internazionali bisogna possedere idealismo e ottimismo, sì, ma ancor di più contano la capacità di essere concreti e strategici. Tutte qualità presenti nel gruppo.

Si è parlato tanto, e di molte cose. In primis bisognava fare il punto sullo stato di un crimine che il Mafioscopio ha solo sfiorato, l’eco-mafia. Ci ha pensato il documentario d’inchiesta Toxic Europe, prodotto dai giornalisti investigativi Cecilia Anesi, Giulio Rubino e Delphine Reuter. E’ bastata quella mezz’ora di video per far girar la testa. Mezz’ora che ha svelato parte del giro della monnezza, con capolinea le discariche mafiose in Romania, dove la gente non respira più aria buona e muore di cancro. Mezz’ora che disegna un network di società dentro società dentro società, scatole nere possedute da camorristi e imprenditori che a prezzi tre volte minori della concorrenza nascondono i veleni che le nostre economie producono. Il premio per il Miglior Report sul Crimine Organizzato 2011 è stato meritato.

Non sono mancati disaccordi e scetticismi, e il più notevole ha toccato una delle armi italiane principali contro il crimine organizzato, e vantata in tutta Europa: la confisca dei beni mafiosi. Il più grande torto che si possa fare a un boss è privarlo dei beni accumulati durante la sua carriera, e magari riusarli per scopi sociali. Come la villa di Totò Riina a Corleone, oggi metà scuola e metà stazione di polizia. Istruzione e giustizia sostituiscono violenza e poteri nascosti dietro l’omertà, quale miglior messaggio?

Eppure, la parola confisca richiama ad alcuni rapprensentanti dei Paesi est-europei i tempi bui del comunismo. A quei tempi si aveva una legge simile (seppur con scopi diversi), spesso applicata ingiustamente da corrotti funzionari. Il timore è che l’alto livello di corruzione ancor presente nelle istituzioni pubbliche locali impedisca il corretto funzionamento dell’arma. E a quel punto, diventerebbe soltanto un piccolo ostacolo raggirato con una tangente consegnata all’uomo giusto al momento giusto. La lezione è che una lotta alle mafie a livello europeo deve tener conto delle storie e bisogni dei singoli stati. Se non considerati, le conseguenze potrebbero essere disastrose, l’opposto del voluto.

Alle sei e mezza si era stanchi e affamati. Il pranzo era stato saltato da molti. Ciò non ha impedito la discussione di proposte da attuare, che saranno presentate il 30 novembre nel cervello d’Europa, il Parlamento Europeo di Bruxelles. I progetti da fare sarebbero molti e ambiziosi, tra cui la creazione di un istituto europeo di monitoraggio e ricerca sulle mafie transnazionali, che sostenga la creazione di politiche economiche e sociali contro il fenomeno. Ma i soldi e la volontà politica pare non siano presenti al momento. Si deve aspettare. Allora, come società civile, perché non incitare l’attivismo dal basso?

Ciò che ci dà coscienza, la sensazione di essere italiani, inglesi, tedeschi o tuvaluani non sono i confini di un Paese, né una carta d’identità in mano. E’ la memoria collettiva, quell’insieme di storie e miti che forma un’identità sociale. E proprio la memoria collettiva ha dato vita al movimento antimafia di massa italiano. Le vite e i discorsi di Falcone, Borsellino, Dalla Chiesa e molte altre vittime di mafia hanno creato compassione, donato a milioni di italiani un comune sentimento di disgusto. Hanno fatto dire loro basta.

Il prossimo passo è creare la stessa memoria in tutti gli altri Stati d’Europa. Storie di chi combatte, di chi è morto, di chi soffre a causa della mafia saranno raccolte e ascoltate. Non appena la disperazione di un negoziante greco fallito per estorsione sarà accolta; non appena si saprà il nome di un bambino rapito a sud di Londra, trafficato e fatto prostituire; non appena una madre rumena griderà il nome di suo figlio nato morto e deformato per via dei veleni, una nuova coscienza di massa nascerà. E da lì, chissà, un movimento antimafia ancor più grande, una spinta in più per le istituzioni.

Il filosofo e politologo David Campbell scrive spesso che l’umanità vive di storie, di narrazioni, di trame. Le ascoltano, le creano, le plasmano. Che si ascoltino le storie delle mafie allora, e che si metta, quanto prima, la parola fine ad esse.

[Foto di Claudio_Photo]


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