I nonni catanesi mangiano poco e cibo di cattiva qualità  A causa di solitudine, pensioni basse e dentiere scadenti

Pensioni basse, cibo di scarsa qualità, cattiva masticazione. Presentati stamattina a Catania i risultati della ricerca Spi e Auser: «Solo una piccola percentuale consuma quattro o cinque pasti al giorno». Il 12,7 per cento degli anziani dei nostri territori consuma meno di tre pasti al giorno, quasi il 20 per cento consuma carni trasformate almeno una volta al giorno; dato che risulta più elevato della media nazionale e superiore al consumo frequente di carni fresche. Anche la varietà dei pasti consumati dagli anziani è più compressa rispetto alla media del dato nazionale: solo una piccola percentuale consuma quattro o cinque pasti al giorno.

Mangiano male i nonni catanesi, a causa delle pensioni troppo basse, per solitudine, o anche solo perché non possono permettersi una buona dentiera e di conseguenza, una buona masticazione. Lo rivelano i dati della campagna nazionale condotta dallo Ssi Cgil, il sindacato dei pensionati, in collaborazione con l’Auser, che ha coinvolto tutti i territori somministrando 11.000 questionari, per conoscere cosa mangia e a cosa rinuncia la maggior parte della popolazione anziana. La ricerca ha interrogato direttamente gli anziani sulle proprie abitudini alimentari, i consumi, i legami famigliari e le risorse del territorio, nonché la disponibilità all’attivazione e al cambiamento.

I risultati della ricerca sono stati presentati stamattina nel corso dell’incontro pubblico organizzato da Spi e Cgil catanesi sul tema: “Senilità, la necessità dell’integrazione alimentare”. Tra gli interventi, quello della segretaria nazionale dello Spi, Mina Cilloni, mentre la relazione è stata affidata alla segretaria provinciale dello Spi catanese, Margherita Patti. Non era invece presente, nonostante l’invito, l’assessore regionale alla Salute, Ruggero Razza, né un rappresentante del nuovo assessorato comunale al Welfare.

I lavori sono stati presieduti dal segretario generale dello Spi di Catania, Carmelo De Caudo: «I nostri anziani sono sempre più in difficoltà e possiamo osservarlo ogni giorno». Oltre ai saluti, il segretario generale della Camera del lavoro, Giacomo Rota ha detto: «a fronte dei risultati di questa ricerca, credo sia necessario fare ancora molto lavoro, anche in vista del congresso. È necessario alzare il livello del ragionamento». È intervenuta anche la direttora del Servizio igiene alimenti SI.A.N. Elena Alonzo: «Tra i nostri obiettivi c’è la crescita della consapevolezza legata a questi temi, e la diffusione del messaggio che è possibile mantenere salute e piacere del gusto». Per il segretario generale dello Spi Sicilia, Maurizio Calà «la quantità del cibo spesso non è qualità e questo messaggio dovrebbe essere veicolato dai medici di famiglia».

È stato il responsabile educazione e promozione Salute, Asp Catania, Salvatore Cacciola a dire che «con l’impoverimento del ceto medio una parte di cittadini si alimenta con prodotti di scarsissima qualità; da una parte si è ridotto il consumo di carne, ma dall’altro vengono consumati i cibi in scatola e pieni di grassi. Le diseguaglianze emergono dunque dalla qualità delle diete e delle persone, con un evidente food social gap». Per il geriatra e gerontologo, Domenico Maugeri «il nostro sistema sanitario non prevede la salute delle persone e non intercetta in tempo utile la disabilità. Non esiste la salute del cavo orale, per esempio».

Il nemico, dunque, è la malnutrizione. Il profilo di coloro che hanno diminuito i pasti a causa della crisi si completa considerandone la maggiore incidenza tra le persone sole, e tra i più anziani gli ultra settantenni e in percentuale poco inferiore tra i 60-69enni. Tra gli ulteriori elementi critici va segnalata la bassa frequenza con la quale vengono consumati ortaggi e verdure, pur essendo una componente essenziale di una dieta equilibrata. Dalla ricerca è emerso come la buona alimentazione degli anziani appaia sì legata alla specificità delle culture alimentari locali e regionali ma anche ad una questione di reddito da pensione disponibile, il quale incide notevolmente per i redditi più bassi rispetto al paniere degli alimenti. Ciò mostra anche effetti per la salute: minore frequenza della diagnostica e maggiori problemi di masticazione. Viceversa, i redditi più alti mantengono una maggiore qualità e varietà della dieta, ed inoltre sono più aperti a modalità di spesa innovative (mercati a km 0,Gruppi di acquisto).

È da segnalare una vera e propria diminuzione dei pasti giornalieri per una quota minoritaria (maggiore del dato nazionale che risulta essere circa al 15-20 per cento) di anziani che saltano il pranzo o la cena, a causa della perdurante crisi economica. Oltre alle difficoltà economiche, un elemento critico che influenza la buona alimentazione risiede nelle forme della convivenza e nell’accessibilità del territorio: le persone sole, e quelle via via più anziane, hanno minori opportunità relazionali e di stimolo per tenere alti gli standard alimentari, mostrando anche un raggio d’azione della spesa più ristretto. Nel complesso gli anziani si mostrano disponibili a cambiare la propria dieta e anche ad attivarsi nella frequenza di corsi di formazione ed occasioni informative. Questo orientamento risulta più accentuato fra le donne.

«I dati ci dicono che si tratta principalmente di persone di età avanzata, spesso sole e a basso reddito – ha sottolineato Margherita Patti – e non stupisce, quindi, che è maggiore in questo caso la frequenza di spuntini e merende, spesso consumati come sostitutivo di un pasto principale. Il quadro provinciale, ci dice da un lato quanto sia importante l’alimentazione come indicatore di benessere e della qualità di vita dei nostri anziani, dall’altro è un campanello di allarme rispetto alle politiche di assistenza di cui la nostra regione, sempre più anziana, ha bisogno».

Ma mangiare bene significa anche non cadere nelle pubblicità ingannevoli: dalle acqua della salute allo yogurt che combatte il colesterolo, al limite tra riferimenti salutistici ammessi dalla legge e messaggi mistificatori. Cosa può fare il sindacato? Per la segretaria nazionale Cilloni «il tentativo dello Spi è far diventare importanti questi temi e imprimere una svolta significativa in una società che non sempre risponde adeguatamente alle esigenze degli anziani. C’è una rivoluzione demografica in atto, e non solo nel nostro Paese; è perciò importante sottolineare come il processo di invecchiamento debba essere visto in chiave positiva. Cibo scarso non significa solo scarso nutrimento ma può anche essere spia di una grave solitudine, forse il più grande trauma». 

(Fonte: ufficio stampa Spi di Catania)


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