Confisca Ciancio, le accuse dei magistrati catanesi Affari e amicizie. «La Sicilia? Situazione è pessima»

«La sua è una pericolosità sociale qualificata che nel tempo ha fornito un apporto costante alla famiglia catanese di Cosa nostra». Le parole scandite in conferenza stampa da Carmelo Zuccaro hanno il sapore della sentenza, nonostante i titoli di coda siano ancora lontani. Il procuratore capo, puntuale come sempre, arriva in una saletta stracolma di giornalisti con accanto i militari del Ros dei Carabinieri e i magistrati che da anni seguono l’inchiesta su Mario Ciancio Sanfilippo. Potente editore, da ieri sera ex direttore del quotidiano cartaceo La Sicilia e imprenditore. Da un lato, con il dito puntato contro, c’è l’uomo che giura di avere creato il suo impero soltanto rimboccandosi le maniche, dall’altro chi scommette che dietro quella scalata, iniziata negli anni ’70, ci sia anche la sgradevole ombra della mafia. Al centro di tutto c’è il decreto congiunto di sequestro e confisca emesso dal tribunale Misure di prevenzione su richiesta della Direzione distrettuale antimafia. Una rete di 31 società di cui Ciancio è proprietario, oltre a partecipazioni in sette aziende, beni immobili e conti correnti. Tutto per un valore non inferiore a 150 milioni di euro, in cui rientrano anche i soldi sequestrati nel 2015 in Svizzera.

Dopo il terremoto giudiziario di ieri, quando è stata diffusa la notizia dei sigilli al patrimonio, tocca alla procura cercare di fare chiarezza sulla vicenda. Perché a finire confiscate – in primo grado – non sono soltanto società immobiliari, aziende agricole e di intermediazione finanziaria. A distinguersi sono giornali e canali televisivi: La Sicilia, il 60 per cento delle quote della Gazzetta del Mezzogiorno, Telecolor e Antenna Sicilia. Le preoccupazioni maggiori si nascondono dietro alla situazione del quotidiano di viale Odorico da Pordenone, che Ciancio ha diretto per oltre cinquant’anni dopo averlo ereditato dallo zio Domenico. Da ieri, con la nomina degli amministratori giudiziari, al suo posto è stato scelto il giornalista Antonello Piraneo. «La situazione economica del giornale è molto, ma molto, pesante – sottolinea Zuccaro riferendosi alla tenuta economica – Lo stesso può dirsi per le altre realtà editoriali. La nostra volontà però è quella di preservare i posti di lavoro».

Un barlume di speranza prova ad accenderlo il sostituto procuratore Antonio Fanara, presente alla conferenza stampa insieme alla collega Agata Santonocito, «In passato con le misure di prevenzione abbiamo avuto ottimi risultati – spiega -. Mi riferisco alla Tecnis. Lo Stato con la sua gestione ha la possibilità, per esempio, di bloccare alcuni debiti. L’obiettivo è quello di mantenere il valore sociale del quotidiano pur partendo da una situazione pessima. Si cercherà di fare l’impossibile ed è chiaro che lo Stato si occuperà degli utili e non della linea editoriale». 

La stessa che proprio secondo i magistrati sarebbe stata condizionata da Ciancio negli anni. Come? «Mettendo in sordina gli interessi economici della famiglia di Cosa nostra ma anche i personaggi che non erano ancora stati colpiti da provvedimenti giudiziari». Secondo la procura i rapporti dell’editore con la mafia sarebbero partiti dagli anni ’70. Quando a comandare tra le strade di Catania era ancora il boss Giuseppe Calderone. Lo spartito non sarebbe cambiato nemmeno successivamente, con la presa del potere del super boss Nitto Santapaola. Proprio con alcuni esponenti mafiosi etnei l’editore sarebbe entrato in affari, almeno stando alle parole dell’accusa. In particolare quando a essere evidenziate sono tutte le operazioni che hanno riguardato la costruzione di numerosi centri commerciali

L’analisi di società e bilanci, dal 1974 al 2013, è stata affidata dalla procura etnea al colosso britannico Pricewaterhouse Coopers. Azienda di revisione che ha messo sotto la lente d’ingrandimento 1500 documenti contabili e 1000 visure camerali per ricostruire l’immenso patrimonio dell’editore. Ulteriore linfa è poi arrivata dal processo di primo grado in cui l’editore è imputato per concorso esterno in associazione mafiosa. Oggi nella fase più calda ma soltanto dopo avere superato indenne una richiesta d’archiviazione risalente al 2012. A smentire in quell’occasione la procura di Catania, e la volontà di chiudere per sempre l’inchiesta su Ciancio, era stato il giudice Luigi Barone. Quando in conferenza stampa qualcuno prova a chiedere lumi al procuratore capo e alla sua firma su quella richiesta d’archiviazione, Zuccaro declina ogni apertura: «Oggi si parla solo di misure di prevenzione. Non voglio influire su un processo che è in corso». Per l’ex direttore la procura aveva chiesto, senza successo, anche la sorveglianza speciale. «Manca l’attualità poiché l’ultimo episodio che riconduce Ciancio alla mafia risale al 2013», conclude il procuratore. 


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