Dissesto, i motivi del ricorso alla Corte dei conti La difesa e le speranze «platealmente disattese»

Il professore Agatino Cariola ci ha provato nel modo più elegante possibile. La sintesi delle 68 pagine del ricorso presentato dal Comune di Catania alle sezioni riunite della Corte dei conti, a volere essere a-tecnici, è più o meno questa. Un tentativo estremo – con 49 allegati, per un totale di migliaia e migliaia di pagine – di guadagnare altro tempo dalla magistratura contabile e, così, evitare la dichiarazione del dissesto. Il professionista – per il cui contributo alla causa Palazzo degli elefanti ha impegnato una spesa di oltre 29mila euro – tenta di fare ordine nei numeri e nella cronologia, sintetizzando in un unico documento quasi cinque anni di botta e risposta tra gli uffici del municipio e la sezione locale della Corte dei conti di Palermo. E chiedendo, in undici punti (alcuni dei quali molto simili tra loro), che la deliberazione con la quale i giudici palermitani chiedevano la dichiarazione di dissesto venga annullata.

Uno degli elementi ricorrenti nel testo di Cariola è che nella delibera del dissesto si considera sempre il piano di riequilibrio Catania 2013 e non si tiene conto che, nel frattempo, il municipio quel piano lo ha modificato diverse volte. E l’ultima, quella di settembre 2016 (congedo dell’allora assessore al Bilancio Giuseppe Girlando), non ha ancora ottenuto il benestare della commissione del ministero dell’Interno che avrebbe dovuto valutarla. Nonostante il tempo lunghissimo ormai trascorso. Il costituzionalista catanese, dunque, in soldoni domanda: giudici di Palermo, perché chiedete il dissesto di Catania anziché strigliare il ministero? «Risulta paradossale ed estremamente ingiusto – si legge nel ricorso – che il Comune di Catania debba oggi soffrire dei tempi estremamente dilatati di procedure amministrative che si svolgono fuori del suo ambito di operatività, addirittura in ambito statale». C’è un caso, del resto, in cui la mancata istruttoria ministeriale è servita alle Sezioni riunite della Corte dei conti per annullare una delibera della Sezione di controllo. Certo, era il lontano 2013 e il Comune in questione era quello di Belcastro, in provincia di Catanzaro. Neanche duemila anime per un centro calabrese in cui perfino la pagina Wikipedia è stata ironicamente modificata senza che nessuno ci facesse caso (c’è scritto «rinoceronti», anziché «abitanti»).

Il piano del 2013, in ogni caso, prevedeva che la copertura del disavanzo di amministrazione avvenisse per lo più a partire dal secondo quinquennio di applicazione, cioè a partire dal 2018 e fino al 2022. Significava, cioè, che per coprire il buco del Comune – cioè quello certificato nel 2013 – erano necessarie delle attività che avrebbero portato i loro frutti dopo un po’ di tempo dalla loro messa in pratica. Nonostante qualche «perplessità», però, la Corte dei conti aveva approvato all’epoca la metodologia di rientro immaginata dal Comune (retto a quel tempo dal sindaco Raffaele Stancanelli, che aveva al suo fianco lo stesso vicesindaco su cui oggi fa affidamento il primo cittadino Salvo Pogliese: Roberto Bonaccorsi). Nel frattempo, però, tante cose non sono più uguali: il taglio dei trasferimenti statali e regionali, la necessità di inserire nel bilancio del Comune anche quelli delle partecipate. Insomma, un altro mondo contabile. Era stata la stessa sezione di Controllo che adesso vuole il dissesto a dire, nel 2015, «che la valutazione demandata alla Corte dei conti non può essere rigidamente ancorata al rispetto delle previsioni del piano, ma deve tenere conto di eventuali modifiche sopravvenute, fermo restando l’obiettivo di risanamento dell’ente». 

In altri termini, per la difesa di Palazzo degli elefanti, i giudici contabili sembravano dire: l’importante è il punto d’arrivo, non soltanto il percorso. Valutazioni che, scrive il professore Agatino Cariola, «sono state assorbite dal Comune di Catania, sul quale è stato ingenerato un affidamento circa la natura e le modalità del controllo effettuato dalla Corte dei conti siciliana». Il municipio etneo, insomma, si è fidato. E le sue speranze sarebbero state poi «platealmente disattese». Il paradigma di una relazione complicata. Una storia difficile che il Comune tenta ancora di ricucire: il 19 settembre il nuovo Consiglio comunale ha dovuto approvare le misure correttive chieste dalla Corte dei conti. Ha cioè modificato i dati di bilancio inserendo le cifre che i magistrati contabili avevano notato mancare. 

In totale, erano circa 450 milioni di euro. Per coprire i quali c’è sempre bisogno dell’aiuto del Governo centrale. E Cariola lo sa. Così da un lato ricorda l’emendamento salva-Catania, annunciando la volontà di Palazzo degli elefanti di modificare di nuovo il piano di riequilibrio. Dall’altro dice ancora: giudici di Palermo, non è contraddittorio che chiediate a Catania delle correzioni quando avete già deciso di dichiarare il dissesto? Intanto, il Comune le correzioni le ha fatte. E quelle, secondo lui, testimoniano la voglia di collaborare con la magistratura contabile. Nell’ottica che il punto d’arrivo sia evitare il dissesto per il bene della città e che, nonostante anni di percorso a dir poco turbolento, le cose si possano ancora aggiustare. Come detto: una relazione davvero complicata. E mai come in questo caso il finale dipende, in pratica, da un ricco sei al Superenalotto.


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