Capuana, diocesi di Acireale interviene sulla setta «Nessun legame con Chiesa, sospendere attività»

La porta della Chiesa è ufficialmente chiusa per l’Associazione cattolica cultura ambiente (Acca), riconducibile al santone Piero Capuana, il 74enne accusato di numerosi abusi sessuali nei confronti di giovani donne della comunità sorta a metà anni Settanta nella parrocchia di Lavina, ad Aci Bonaccorsi. A prendere la decisione con una nota è il vescovo della diocesi di Acireale, Antonino Raspanti. «In attesa che gli organi preposti giungano alla piena chiarificazione dei fatti denunciati, dispongo che enti, istituzioni e organizzazioni della chiesa cattolica si astengano o interrompano attività di collaborazione con la comunità», si legge nel documento.

La disposizione – rivolta a parrocchie, istituti religiosi e associazioni riconosciute dalla Chiesa – arriva in una fase in cui si attende la decisione del gup del tribunale di Catania sulla richiesta di rinvio a giudizio per Capuana e le persone a lui vicine, tra le quali le donne che avrebbero avuto un ruolo nell’attirare le vittime, convincendole del fatto che i rapporti sessuali non fossero abusi ma riti compatibili con la fede religiosa, e l’ex assessore regionale Mimmo Rotella. Di recente, peraltro, l’associazione ha ripreso le proprie attività, ricomparendo anche sui social network con una nuova pagina Facebook dove, con cadenza quasi quotidiana, si rimarcano la bontà del proprio operato in linea con i principi cristiani. Dichiarazioni che però non bastano a far sì che tra l’associazione e i vertici diocesani il rapporto possa essere ricomposto. 

In estate, aveva fatto discutere un pranzo di beneficenza organizzato dalla comunità nei locali gestiti dalla Madonna della tenda di Cristo, l’associazione di volontariato di San Giovanni Bosco, ad Acireale, gestita da due suore e da decenni attiva nell’accoglienza e assistenza a persone in stato di disagio. Un incontro da cui, alcuni mesi dopo, la stessa Tenda di Cristo ha preso le distanze. Adesso è Raspanti a sottolineare come il gruppo di Capuana non abbia alcun riconoscimento all’interno della Chiesa: «Le gravi accuse rivolte nei mesi scorsi ad alcuni membri della sedicente comunità di Lavina hanno creato sconcerto e suscitato scandalo tra i fedeli – si legge nella nota del vescovo -. L’associazione, pur dichiarando di ispirarsi a principi cristiani, non ha natura ecclesiale, non svolge, per sua stessa ammissione, attività ecclesiali e non è formalmente riconosciuta dall’autorità ecclesiastica né sussiste alcun legame con la chiesa cattolica».

Storicamente i rapporti tra la diocesi e la comunità di Lavina non sono mai stati sereni. Già pochi anni dopo l’inizio dell’attività ad Aci Bonaccorsi, Capuana e soci si scontrarono con l’allora vescovo Pasquale Bacile, il quale in più di un’occasione provò a intervenire per mettere un freno alle pratiche che si sarebbero svolte all’interno del cosiddetto cenacolo, luogo nel quale Capuana – all’epoca quarantenne – veniva considerato l’incarnazione dell’arcangelo Michele. Per riuscire nel proprio intento, Bacile cercò di convincere Stefano Cavalli, il parroco di Lavina, a prendere le distanze da quella comunità, imponendo i dogmi ecclesiali. I risultati, però, furono modesti al punto che lo stesso Bacile si trovò costretto a sospendere Cavalli, accusandolo di agevolarne addirittura le attività. Lo scontro arrivò fino al Vaticano, dopo che il gruppo di Lavina scrisse alla segreteria dell’allora pontefice Paolo VI, denunciando le presunte censure del vescovo e chiedendo protezione. Intervento della Santa sede che però non ci fu, anzi poco dopo avvenne lo scioglimento della comunità da parte della diocesi. La disposizione, tuttavia, non impedì a Capuana di andare avanti nel corso dei decenni. Fino all’anno scorso quando il sedicente santone è stato arrestato con accuse pesantissime.

La diocesi di Acireale sarà prossimamente protagonista anche per il processo ecclesiastico a cui sarà sottoposto anche don Orazio Caputo. Il prete è accusato da una delle madri delle ragazzine che avrebbero subito gli abusi di avere rivelato il contenuto di una confessione religiosa, per favorire gli indagati mettendoli a conoscenza delle denunce fatte all’autorità giudiziaria.


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