Misterbianco, Di Guardo sfida piazza e contestatori Al M5s: «Uno vale uno? Qua conta chi ha le palle»

Nino Di Guardo è animale da piazza oltre che sindaco di Misterbianco «fino alla morte», ipse dixit. E fin dallo scoppio del caso politico-giudiziario del momento – l’arresto del suo vice Carmelo Santapaola – le ha tenacemente tentate tutte per rovesciare il tavolo di una sfida fra le più complicate della lunga carriera del 75enne primo cittadino. Quel palco di piazza Mazzini, che lo ha visto sempre leone, doveva essere il culmine della strategia. Eppure non c’è la folla delle grandi occasioni, di applausi ne scattano pochi, non troppo fragorosi, e ci vuole il consueto ricorso al timbro triviale per strappare reazioni più forti, oppure per zittire una decina di rumorosi contestatori. «Ma chi cazzo siete? Andate via! Salvini è razzista, in Sicilia non entrerà mai!», strilla il sindaco a un gruppo di giovani con le pettorine della Lega che lo fischia e lo interrompe, radunato dal consigliere Turi Scaletta

Qui sta un altro dei tanti paradossi della vicenda: ad agitare il dissenso di piazza anti-Di Guardo è un ex candidato dello stesso Santapaola, appunto Scaletta, da circa un anno collocatosi con i salviniani. C’è anche un gruppo di attivisti del Movimento 5 stelle, bersagliati da Di Guardo per ampi stralci del comizio, che scelgono la protesta silenziosa: cartelli levati in aria che invocano le dimissioni del sindaco, poi l’abbandono anticipato del posto. Un’altro pezzo di opposizione, infine, ha scelto la linea del contro-comizio: domani, sullo stesso palco, salirà l’ex candidato sindaco Marco Corsaro per dire, davanti alla reazione definita «medievale e sbracata» di Di Guardo, che «Misterbianco non ci sta».

Il sindaco, intanto, ne ha per tutti. Prima si lancia nella difesa del suo ex numero due, ieri sostituito da Matteo Marchese di Sicilia futura. «Speriamo che tutto si risolva, lo dico apertamente – scandisce – che Carmelo Santapaola è mafioso iu non ci cridu». In piazza, fra urla e dialetto, va in scena la linea difensiva già ampiamente sciorinata alla stampa. «Santapaola con i mafiosi condivide solo il cognome, è agli arresti per un fatto personale che nulla c’entra con il Comune». Le famigerate intercettazioni in macchina, assieme ai boss della famiglia Placenti«Minchiate di quattro malavitosi analfabeti, come se io oggi vi dicessi che vado a Torino a giocare nella Juventus con Ronaldo». Poi passa al senatore grillino Mario Giarrusso colpevole, a detta del sindaco di Misterbianco, di essersi pesantamente schierato per lo scioglimento del Comune. «Pensassero ai loro sindaci, alla Appendino, alla Raggi che ha ridotto Roma a una pattumiera. Se vogliono – attacca Di Guardo – ci vado io a Roma e in sei mesi la sistemo io!»

Il succo è tutto qui. Di Guardo si presenta come ontologicamente sindaco e non mollerà. È la storia di cinque sindacature, di sveglie alle 5 del mattino e lavoro al fianco di giardinieri e impiegati comunali – esaltati e citati più volte – e della battaglia antimafia sulla cui cresta dell’onda costruì i suoi primi mandati. La stessa identità finita nel surreale vortice dell’ombra di Cosa nostra sul Comune da lui stesso amministrato. «Una cosa giusta questi malandrini  – racconta Di Guardo sempre a proposito delle intercettazioni – di quarto ordine l’hanno detta: u sinnacu avi a testa dura! Certo, ma non è sceccu e la mafia a Misterbianco non l’ha mai fatta entrare». Per cui, sottolinea Di Guardo, i grillini si rasserenino: «Uno vale uno? A casa vostra, qua non è così, qui conta chi ha le palle».


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