Etna, nell’inchiesta c’è anche la parentopoli guide Gli aiuti ai figli e le telefonate: «Ni iettunu manu»

Che il mestiere di guida vulcanologica si tramandasse di padre in figlio, sull’Etna, non era solo una consuetudine. Almeno non secondo i magistrati della procura di Catania. Sono loro che alla selezione per il corso di abilitazione al lavoro di guida alpina e vulcanologica, svoltasi a maggio 2018, dedicano un intero capitolo dell’inchiesta sul sistema di intrecci imprenditoriali e amministrativi all’ombra – letterale – del vulcano. Così la parentopoli raccontata da MeridioNewsall’indomani dello svolgimento delle prove (una teorica e una pratica) per l’accesso al periodo di formazione adesso si arricchisce dei nuovi elementi raccolti dalle forze dell’ordine: le intercettazioni telefoniche a carico di alcuni membri del Collegio siciliano delle guide, accusati di abuso d’ufficio. Biagio Ragonese (presidente del direttivo del collegio), Orazio Distefano (vicepresidente) e Antonio Rizzo (componente), secondo la procura, avrebbero fatto tutt’uno con un unico scopo: permettere ai propri figli di passare le prove. Cosa poi effettivamente riuscita, al contrario di quanto avvenuto nel 2016quando erano stati esclusi.

A giugno 2017 l’assessorato al Turismo retto all’epoca dal democratico Anthony Barbagallo pubblica il bando di selezione per le nuove guide alpine e vulcanologiche. È una notizia attesa da molti, visto che dalla procedura concorsuale del 2016, in totale, avevano guadagnato l’abilitazione all’esercizio della professione sull’Etna soltanto venti persone. Il funzionario regionale Giuseppe Dentici viene nominato presidente della commissione esaminatrice e altri due membri vengono scelti dal Collegio delle guide, l’organismo individuato dalla legge per la formazione delle figure professionali. I nomi scelti dalle guide etnee sono due: la guida alpina istruttore Gianni Trepin e una guida proveniente dal territorio catanese. Quest’ultima figura, però, si fa da parte poco prima delle prove di selezione. Al suo posto spunta così il nicolosita Orazio Consoli, sostituto entrato in corsa e indagato pure lui (come Trepin e Dentici) dalla procura di Catania. Oltre a due componenti della commissione, il Collegio delle guide sceglie anche il direttore del corso di formazione a cui avrebbero dovuto partecipare le aspiranti guide vulcanologiche selezionate: la guida alpina Mario Taller.

Secondo i magistrati, è già in questa fase che si verificano le prime irregolarità. In primo luogo, Ragonese, Distefano e Rizzo, avrebbero dovuto astenersi del tutto dalla procedura per «manifesta incompatibilità». «Per ora dobbiamo fare tutte le operazioni che si devono fare, e l’operazione resta: io, tu e Orazio. Basta! Nessuno deve essere in mezzo ai coglioni», dice Ragonese intercettato mentre parla con Antonio Rizzo. E quest’ultimo replica: «E poi dopo noi decidiamo le cose…». La prima cosa da ottenere, in base al contenuto delle telefonate, è una modifica al bando: ci sono da cambiare i requisiti per la nomina del direttore del corso di formazione. In base alla formulazione originaria del testo regolamentare, quel ruolo sarebbe dovuto andare a una guida alpina con il grado di istruttore. Nella modifica effettuata dalla Regione ad aprile 2018, il requisito diventa meno stringente: basta essere guide alpine o vulcanologiche semplici. Come Mario Taller. «Prima che poi qualcuno possa dire – dice ancora Ragonese a Rizzo, in una conversazione successiva – “Ah, ma il direttore del corso non doveva essere una guida istruttore?”. Era questo errore che bisognava modificare».

C’erano poi da sistemare le questioni relative alle domande del quiz. La commissione avrebbe dovuto riunirsi per elaborarle ma, in realtà, gli appuntamenti non sarebbero avvenuti come avrebbero dovuto. A dispetto dei documenti che ne attestavano la regolarità, che sarebbero quindi stati falsificati. «Dovremmo fare o simulare come se queste due guide alpine, più il funzionario, si sono incontrati e hanno fatto un incontro. Dobbiamo materializzare questo coso qua», continua Biagio Ragonese, sempre al telefono. Da un capo all’altro della cornetta corre, poi, il tema finora solo temuto dalle aspiranti guide vulcanologiche rimaste escluse dalla selezione: che qualcuno dei candidati conoscesse il percorso della prova pratica. Cartina e bussola alla mano, i candidati avrebbero dovuto raggiungere una serie di checkpoint tra i boschi, nel più breve tempo possibile. Una sfida difficile anche per chi conosce a menadito i sentieri dell’Etna. «Orazio ha già portato a fare il percorso della salita…», racconta Rizzo a Ragonese. Il riferimento sarebbe a Orazio Distefano, dipendente e guida del parco dell’Etna. «Glielo dico – replica Biagio – quello che dobbiamo fare, lo dobbiamo fare in maniera molto tranquilla e riservata». Perché poi la gente, lo interrompe Rizzo, «ni iettunu manu». Qualche giorno dopo, a rincarare la dose è lo stesso Distefano: «La cosa buona era se lo potevamo fare tutt’e tre insieme – sostiene – Lo facevamo una sola volta. Perché io mi spavento che ci vedono sul posto. Se ci vedono sul posto, siamo fritti, poi».

Dal 17 aprile 2018 cominciano, quindi, una serie di conversazioni sul percorso: Ragonese viene registrato mentre parla non solo delle simulazioni di suo figlio, ma anche di quelle del figlio di Distefano. I due arrivano ad aggiungere la necessità di rendere la prova più complicata, ma con i giusti «punti di riferimento per orientare i figli nel labirinto» e consentire loro di arrivare velocemente al traguardo. A questo scopo sarebbe servito aggiungere tra i checkpoint obbligatori il Monte Nero, difficile da trovare ma già noto ai due rampolli. Le telefonate continuano: il giorno della prova Ragonese avrebbe dato indicazioni a due concorrenti e, contattato da uno di loro a proposito della difficoltà di trovare il checkpoint C, il presidente del Collegio delle guide si sarebbe premurato di chiedere informazioni al figlio. Proprio durante lo svolgimento del test pratico, Biagio Ragonese avrebbe quindi telefonato al suo familiare per sapere se il checkpoint fosse davvero nel posto sbagliato. Il figlio gli avrebbe risposto di stare tranquillo: il checkpoint non era nel punto esatto, ma lì vicino. Lui lo aveva trovato. Decine di altri giovani e non solo, poi esclusi, no. 

Aggiornamento 10 dicembre 2018, ore 15.50

Riceviamo e pubblichiamo: «Per diritto di replica, nell’interesse di Gianni Trepin ed in qualità di suo legale, smentisco nella maniera più assoluta qualsiasi addebito a suo carico. Nello sconcerto del mio assistito, apprendiamo – purtroppo solo dai giornali – che persone, di cui a tutt’oggi non si conosce il nome, si siano fatte a sporgere denuncia contro la Commissione d’esame per la nomina delle guide vulcanologiche. Il mio assistito, istituzione nel mondo delle guide alpine, persona integerrima, ha operato in maniera irreprensibile e svolto il suo dovere in seno alla Commissione, il tutto nel massimo rispetto della legge».


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