Farmacia, Unict ammessa tra le parti civili L’accusa: «Sapevano, non hanno fatto nulla»

«Il problema è che non hanno fatto nulla e per tutto il periodo previsto». Questa l’accusa, nelle parole del pm della Procura catanese Lucio Setola, nei confronti degli otto imputati per il caso della cosiddetta facoltà dei Veleni, il dipartimento di Farmacia dell’Università etnea. Disastro ambientale e gestione di discarica non autorizzata i reati ipotizzati nei confronti di chi avrebbe dovuto verificare l’effettiva sicurezza all’interno delle strutture dell’ateneo. Nel corso dell’udienza di oggi, la corte si è pronunciata sulle nuove richieste di costituzione di parte civile. Tra queste, l’Università di Catania: un po’ colpevole, un po’ vittima.

«L’ambiente non è solo un bene di interesse pubblico, ma è anche fondamentale per la persona e il cittadino. Che può subire un danno sia personale che sociale». Con queste motivazioni il presidente della corte Ignazia Barbino ha ammesso tra le parti civili il Codacons e l’associazione Cittadinanzattiva. Più la Cgil sempre legittimata, in quanto sindacato, alla tutela della salute dei lavoratori. Escluse invece – perché non radicate sul territorio, con pochi associati e portatrici di interessi troppo diffusi – le associazioni Codice onlus, Codice ambiente ed Earth. Ammessa anche l’università di Catania, per cui le difese e i legali delle parti civili hanno avanzato oggi stesso la richiesta di responsabilità civile. «Il comportamento dei dipendenti non può coincidere con quello dell’ente – aggiunge il giudice – Al massimo si più parlare di un concorso di colpa». E così l’ateneo potrebbe ritrovarsi ad essere da un lato corresponsabile dei propri lavoratori e dall’altro «tradita da essi», come ha spiegato il suo legale rappresentante Guido Ziccone. Che oggi aggiunge: «Ci sono già dei precedenti illustri, a Milano e a Roma. L’università intende comunque dare, come è suo dovere istituzionale, un contributo all’accertamento della verità».

Diverse le posizioni delle famiglie e delle presunte vittime. Ammesse oggi dalla corte tra le parti civili, Lucia Massimino e Concetto Manna, genitori di Rosario Manna, ex ausiliario della facoltà, e gli ex studenti Saverio Bosco e Melissa Urrata. Si aggiungono alle parti già accettate in sede preliminare: Carla Gennaro e Concetta Di Stefano, figlia e moglie di Giovanni Gennaro; Giorgio Spadaro e Marcella Calabrese, genitori dell’ex studentessa Marianna Spadaro; Gaetano Agnone e Fortuna Milluzzo, genitori dell’ex studente di Ingegneria – facoltà con sede accanto a Farmacia – Agostino Agnone; gli ex studenti e dottorandi Sara Schiavolena, Cinzia Patrizia Strano, Francesco Palermo e la famiglia di Agata Annino, il papà Olindo, la mamma Maria Lopes e la sorella Elena.  Respinte invece le richieste di costituzione da parte di Federica e Dario Galioto, figli di Maria Concetta Sarvà; degli ex studenti Giovanna Zappalà, Salvatore Leocata, Francesco Vitagliano e del padre Alfredo e il fratello Andrea di Emanuele Patanè, il dottorando il cui memoriale ha dato inizio al secondo procedimento relativo a questo caso, per omicidio colposo. I loro casi, spiega il giudice, sono precedenti al periodo in cui si sono svolte le condotte contestate agli imputati, che iniziano nel 2004. Periodo nemmeno indicato nelle richieste – per questo rifiutate dal giudice – del lavoratore Alfonso Russo e di Francesco e Lucia Insirello, zio e cugina della defunta Lucilla Insirello. «I casi rigettati li porteremo di sicuro in sede civile – spiega Santi Terranova, legale di gran parte delle famiglie e delle presunte vittime – E comunque c’è ancora da affrontare un processo per le morti a Farmacia».

Concluse le ultime questioni preliminari, il dibattimento si è aperto con una nuova richiesta di rito abbreviato da parte del difensore di Fulvio La Pergola, ex componente della commissione di sicurezza dell’ateneo. Richiesta già rigettata in passato – perché avanzata troppo tardi – e di nuovo rifiutata oggi dalla corte. Stessa sorte della richiesta comune a tutti i difensori: annullare l’accusa di omissione perché troppo generica. «Quando e come precisamente gli imputati avrebbero dovuto far scattare le normative e far partire le denunce?», chiedono alla corte. In qualunque momento, risponde l’accusa. nella persona del pm Lucio Setola. Il magistrato ha infine presentato le prove che intende utilizzare nel processo. Un unico imputato è stato richiesto come teste: La Pergola. Il resto sono soprattutto documenti: provenienti dagli uffici amministrativi dell’ateneo e allegati alla consulenza tecnica chiesta dal pm riguardo ai lavori tuttora in corso alla Cittadella di sistemazione della rete fognaria. «Lavori che potrebbero evidenziare elementi e tracce forse riferibili alla precedente situazione». L’oggetto del processo insomma. A queste carte si aggiungono una segnalazione del 2011 dell’Usl sulla necessità di sostituire i lavandini della facoltà «che riportano tracce di corrosione», anticipa Setola. E, infine, il memoriale di Emanuele Patanè: le pagine dove il dottorando – sul proprio pc, adesso sequestrato – raccontava la sua vita all’interno del laboratorio della facoltà.


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