Terremoto nelle frazioni abitate da cittadini stranieri Albanesi e rumeni avevano fermato lo spopolamento

Quella casetta terrana di via Vittorio Emanuele a Fleri, rimasta con la facciata pendente, è diventata suo malgrado uno dei simboli del sisma di Santo Stefano. «Siamo andati via senza capire nulla, con i capelli tutti pieni di polvere bianca», racconta Rovena, la donna di origine albanese che lì vi abitava assieme al marito e due figli. Da ormai tre giorni, i neanche cento metri che separano la casa dalla scuola di via Rossi non sono più il tragitto del mattino per accompagnare i ragazzi a lezione, ma la tappa obbligata per pranzi e cene. Assieme alla famiglia di Rovena, servite dai volontari di Misericordia e Protezione civile, ci sono decine di altre persone. In grande maggioranza anche loro nate in Albania. Ci sono famiglie che si ricongiungono ai loro cari in altri paesi, sfollati che trovano l’ospitalità di parenti e amici e che, grazie a loro, possono rifiutare la notte in hotel. Ma c’è anche chi i legami dell’affetto li ha lasciati in un’altra nazione, come quasi tutte le persone che si riuniscono nella scuola di Fleri assieme a soccorritori e altri addetti ai lavori.

«Dal paese è andata via tanta gente, al loro posto sono arrivati gli albanesi», ricorda Alfio Russo, il parroco della chiesa della Madonna del Rosario, crollata nel terremoto del 1984 e oggi di nuovo in macerie. «Dopo quel sisma non ci fu uno spopolamento, anzi la ricostruzione fu veloce – racconta il sacerdote, già allora titolare della parrocchia – ma poi molta gente è comunque andata via per cause generali come la mancanza di lavoro». Il calo demografico fu tamponato dai cittadini provenienti dai Balcani, e così ancora oggi a Fleri vivono circa mille persone, di cui un centinaio albanesi. Negli ultimi anni sono poi aumentati i villeggianti, ed è anche arrivato qualche nuovo residente acquistando villette di nuova costruzione. Tutta gente costretta alla fuga o ritrovatasi sfollata. Mentre il vicepresidente del Consiglio Luigi Di Maio si porta in giro per la zona rossa il circo di giornalisti, manifestanti e curiosi, la signora Rovena sta svuotando la casa ormai inagibile, aiutata da due vigili del fuoco. Il leader M5s la nota e si avvicina per stringerle la mano, poi va via subito. La donna è ancora confusa come nelle ore dopo il sisma: «Qui siamo in affitto, adesso non so che soluzione troveremo».

Ma non c’è rabbia, quella invece a cui si era abbandonata un’altra comunità delle zone terremotate. Da Poggiofelice, la prima sera dopo il sisma, era partita la protesta di alcuni cittadini, fra cui alcune famiglie di origine rumena. In quest’altra frazione di Zafferana, attaccata a Fleri e altresì piena di edifici danneggiati, una ventina di stranieri si è stabilita da circa due decenni. Il condominio dove abita la maggior parte di loro è lesionato un po’ dappertutto. «Ci è andata bene, siamo tutti vivi – dice un uomo mentre attende il pranzo – ma ora ho paura che ci lascino da soli». 


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