Incendi, divieto di costruire sui terreni andati in fumo Catasto in ritardo di due anni: incognita affare Cibali

Relativo al 2016, anche se siamo all’inizio del 2019. Il catasto delle aree percorse da incendi del Comune di Catania è indietro di almeno due anni. Nei giorni scorsi, il senato cittadino ha approvato l’aggiornamento dei terreni percorsi dai roghi fino a tre anni fa, sebbene la normativa preveda che una delibera simile venga votata ogni anno. Certo, nel frattempo c’è stato il cambio di amministrazione e la questione dissesto, ma che gli uffici siano in ritardo lo sanno gli stessi dirigenti comunali e non ne fanno mistero. In base a quanto si apprende, nelle prossime settimane dovrebbe essere pubblicato l’aggiornamento con gli incendi del 2017 e, dopo un paio di mesi, il fascicolo dovrebbe passare dall’aula consiliare per l’approvazione. 

Nonostante possa sembrarlo, non è solo una questione burocratica: grazie a una legge del 2000 che aveva come finalità quella di prevenire gli incendi – perlomeno quelli di matrice dolosa – le aree percorse dal fuoco devono sottostare a una lunga serie di prescrizioni. Non ultimo il divieto di cambiamento di destinazione d’uso per almeno 15 anni e il divieto di costruire della durata di un decennio. Ed è in questo quadro che bisogna guardare il futuro aggiornamento: il catasto del 2017 dovrebbe includere, infatti, i terreni del centro direzionale Cibali. Un’area di 17 ettari, in abbandono da cinquant’anni, di cui si è tornato a parlare circa due anni fa. Prima per via del rogo – di matrice dolosa – che l’ha devastato a metà luglio 2017. E poi per colpa della proposta di variante urbanistica approvata dalla giunta (all’epoca guidata dal sindaco Enzo Bianco) proprio un paio di giorni prima che le fiamme devastassero ettari ed ettari di terreni incolti. In quella zona dovrebbero nascere, tra le altre cose, edifici destinati al social housing oltre che tre torri alte dodici piani.

Secondo la legge, la definizione di «incendio boschivo» è piuttosto ampia. Non riguarda, quindi, soltanto i boschi dell’immaginario collettivo, ma anche «terreni coltivati o incolti e pascoli limitrofi». Una scelta terminologica che calza perfettamente al centro direzionale Cibali. Il piano regolatore generale del Comune, approvato nel 1969 e tutt’ora in vigore, individua lo spazio di quasi 18 ettari nel quartiere dello Stadio (tra via Sabato Martelli Castaldi, via Nazario Sauro, via dei Piccioni, via Adelia e via Cave Villarà) per costruirci un asse attrezzato e un polo di uffici pubblici

A fiutare l’affare sono i più importanti costruttori del capoluogo etneo (Gaetano Graci, Carmelo Costanzo e Francesco Finocchiaro, noti anche per essere – assieme a Mario Rendo – i «quattro cavalieri dell’apocalisse mafiosa» secondo il giornalista Giuseppe Fava), che acquistano i terreni dai cittadini proprietari e compongono un Consorzio che abbia per unico scopo quello di condurre la trattativa con il Comune di Catania. Ai tempi si parlava di un giro di denaro di mille miliardi di lire. Le vicende politiche, giudiziarie e amministrative durano anni e, dopo lo sgretolamento delle gambe dei giganti del cemento catanese, il Consorzio e tutti i terreni passano a Sicilcassa e poi a Banca d’Italia. Per dirla più semplicemente: adesso quei 17,4 ettari sono dello Stato. Che non riesce a venderli, nonostante ci provi più e più volte.

Così arriva l’idea della consultazione pubblica: si cercano idee su cosa fare. Ne arrivano sei: dall’università di Catania che propone una collaborazione con il dipartimento di Agraria; da un comitato spontaneo di scuole, parrocchie, consiglieri di municipalità e collegio dei Geometri di Catania; dalla Fabrica immobiliare Sgr, con sede a Roma, che propone uno studentato e alloggi popolari; da Legambiente che vuole farci percorsi ciclistici e pedonali; dalla Onlus Le cave di Rosso Malpelo che vuole l’istituzione di un parco minerario; e, infine, da due studi professionali – uno di Management e l’altro di Ingegneria – rappresentati da Aldo Palmeri e Dario Consoli. Il Consorzio sceglie di inserire nel proprio progetto tutte le proposte. Anche perché le uniche che modificano la destinazione della zona sono quelle della società specializzata in social housing e quelle dei due professionisti. Che, peraltro, non sono nuovi a questo genere di iniziative: Palmeri è l’amministratore delle societàIstica e Cecos. Due nomi che, a Catania, fanno rima con «risanamento San Berillo».

Tra settembre e ottobre 2017, il Comune partecipa a una serie di incontri nell’ambito di una conferenza dei servizi, legata proprio al centro direzionale. Quello che accade, in buona sostanza, è che il Consorzio propone di procedere passo dopo passo. Se pensare alle torri e ai centri congressi, tutto insieme, rischia di essere troppo complesso, è meglio andare un pezzettino di terreno alla volta. Così il presidente del collegio dei liquidatori consortili, Tito Musso, presenta un parere di fattibilità tecnica ed economica per un complesso di edilizia residenziale – compatibile con l’idea del social housing – nella zona di via Teano (una traversa di via Sabato Martelli Castaldi): una superficie di quasi 16mila metri quadrati che, secondo il piano regolatore generale, è tipizzata come Zona I, cioè centro direzionale e commerciale. In cui, però, secondo le norme tecniche di attuazione del piano (anch’esse datate 1969) è possibile costruire abitazioni, purché a esse siano destinati meno del 40 per cento dei volumi disponibili. Condizione rispettata dal progetto di via Teano. 

Resta, però, l’elemento incendio e il divieto, previsto dalla legge per dieci anni, di realizzare «edifici nonché strutture e infrastrutture finalizzate a insediamenti civili ed attività produttive». E se in un primo momento la legge diceva che l’unica eccezione riguardava eventuali concessioni edilizie rilasciate prima dell’incendio, nel 2003 la normativa è stata modificata: i casi «fatti salvi» sono quelli per cui «detta realizzazione sia stata prevista in data precedente l’incendio dagli strumenti urbanistici vigenti a tale data». In altri termini: se il piano regolatore generale lo prevede, costruire si può, incendio o no. Lo stesso discorso, però, potrebbe non valere per l’intero complesso del centro direzionale. Dove dovrà cambiare la destinazione d’uso (per via degli uffici comunali e della grande arteria viaria originariamente previsti e adesso impensabili) la legge rimane ferma coi suoi divieti, stavolta quindicennali. Ponendo di fatto un’incognita su un’area finora inedificata a due passi dal centro città.


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