Gancio, i canali preferenziali dentro Riscossione Sicilia Soldi, tirocini e favori. «Facciamo tutto senza fare fila»

Burocrazia e amicizieFile interminabili e «canali preferenziali» dove si sarebbe potuto ottenere tutto «senza fare niente», o al massimo «pagando 50 euro». Sullo sfondo la palude di Riscossione Sicilia, l’agenzia che si occupa di incassare i soldi dei tributi dei siciliani, e una piccola truppa di funzionari accusati di essersi venduti in cambio di denaro e favori. Poi ci sono loro, gli avvocati Sergio e Daniele Rizzo. Padre e figlio. Il primo, ex capo della Serit a Catania, in pensione ma sempre operativo. Entrambi accusati dalla procura guidata da Carmelo Zuccaro di essere al vertice di un presunto sistema parallelo a quello lecito, in cui si sarebbero mischiati episodi di corruzione, accessi abusivi al sistema informatico, falsità ideologica e rivelazioni di notizie riservate. Il cuore di questa storia è contenuto nelle carte dell’inchiesta Gancio condotta, su delega della procura etnea, dalla guardia di finanza. Ventisei indagati in tutto tra i quali spiccano anche i nomi di Alfio Pagliaro, segretario della Camera di commercio di Catania, e Pietro Marino Biondi. A quest’ultimo, e ai suoi affari con il mondo dell’accoglienza, gli inquirenti a metà dicembre scorso intitolarono il nome dell’inchiesta Blonds.

L’impalcatura dell’attività dei Rizzo e del loro studio, secondo l’ordinanza di custodia cautelare, si sarebbe basata su disponibilità e asservimento di alcuni funzionari di Riscossione Sicilia. Uno di loro, Giovanni Musmeci, da addetto della sede di Catania viene bollato in un’intercettazione telefonica come «l’amico stradisponibile». Tanto che secondo il giudice avrebbe lavorato più come «dipendente dello studio legale», anziché come funzionario dell’agenzia regionale. Svolgendo «attività specifiche sulle pratiche» che riguardavano i clienti dei due avvocati. In alcune occasioni, come monitorato dagli inquirenti, è lo stesso Musmeci a recarsi nello studio catanese di via Aldebaran. C’è poi il presunto tornaconto che l’indagato avrebbe ottenuto da questa sua «costante messa a disposizione». Ed è qui che entra in scena la figlia dell’uomo (non indagata), ma beneficiaria di un tirocinio scontato in un centro di riabilitazione.  Quattro ore al giorno di pratica sarebbero risultate sei, almeno sulla carta. «Mi ha detto che il miracolo lo ha fatto – diceva al padre – nel senso che piuttosto che due anni il tutto si riduce a un anno».

Le vicende dei figli fanno capolino anche nel capitolo dell’inchiesta dedicato a Rosario Malizia, anch’egli funzionario di Riscossione Sicilia, ma nella sede di Messina. E, come Musmeci, accusato di corruzione. In mezzo c’è ancora l’avvocato Sergio Rizzo. Il «padrino», come lo definisce Malizia, disposto a «regalare» alla figlia di quest’ultimo cinque televisori e altrettanti condizionatori, costo totale cinquemila euro, per l’avvio di un bed and breakfast a Giardini Naxos. «La gente che ne sa dei sacrifici che ho fatto per vivere con l’avvocato – si sfogava Malizia con un amico al telefono – Sette anni di sacrifici, andare a mezzanotte, andata e ritorno di notte, di giorno, con l’acqua e con la neve». Parole che per gli investigatori equivalgono a «una assoluta soggezione» del funzionario nei confronti dell’avvocato. Sempre pronto, almeno secondo l’accusa, ad eseguire quanto gli veniva richiesto attraverso gli accessi al sistema informatico di Riscossione Sicilia. Richieste e vantaggi si sarebbero incrociati anche durante dei faccia a faccia. È il 19 marzo 2017 quando, scrive il giudice, viene intercettato un passaggio di denaro. Una banconota da 50 euro che l’avvocato Rizzo avrebbe consegnato a Malizia «per l’attività prestata». «Sto tornando con dei soldini – diceva subito dopo al telefono parlando con la moglie – mi ha dato 50 euro. Va bene?».

Il canale privilegiato dello studio Rizzo si sarebbe avvalso anche dell’ex funzionario, poi diventato consulente, Claudio Bizzini. Specializzato, si legge nell’ordinanza, «nel reperimento di documentazione» negli archivi dell’agenzia siciliana dei tributi. Per farlo Bizzini avrebbe sfruttato le sue conoscenze ma non solo. Tra le contestazioni c’è anche quella di avere avuto a libro paga una dipendente, «remunerata» per ottenere quanto richiesto. Nella ricostruzione degli inquirenti emergerebbe la volontà di tenere il suo profilo coperto. Evitando di nominarla e indicandola, nelle intercettazioni, come se in realtà fosse un uomo. Un fallimentare espediente perché, come si legge negli atti, il profilo corrisponderebbe a quello di Matilde Giordanella. Finita indagata «perché in continuo collegamento remunerato con Bizzini». 

Nella rete dei contatti di Rizzo spunta anche il segretario della Camera di commercio di Catania Alfio Pagliaro. Finito indagato per accesso abusivo al sistema informatico nonostante alcune precisazioni messe nero su bianco dal giudice nelle carte dell’inchiesta. L’occasione in cui emerge il contatto tra i due è l’esito positivo di un ricorso tributario riguardante la moglie del funzionario. Ed in quel contesto che Rizzo sollecita la sua richiesta a Pagliaro: «Sono rimaste inevase – gli dice – nonostante te l’abbia detto prima». A inguaiare il duo, secondo l’accusa, ci sono due email inviate all’avvocato Rizzo, un mese dopo quella chiamata, in cui dalla Camera di commercio sarebbero state trasmesse altrettante visure camerali. «Non appare significativa – scrive tuttavia il giudice – l’esistenza di un canale preferenziale né tantomeno collaudato».

Una parte corposa dell’inchiesta è quella in cui torna sotto i riflettori il re dell’accoglienza Pietro Marino Biondi e la sua cooperativa Consorzio progetto vita. A maggio 2017 per stipulare un accordo con la prefettura di Caltanissetta c’è bisogno di un documento che attesti la regolarità fiscale del consorzio. Ma Riscossione Sicilia non concede il via libera a causa di alcune morosità. Così il 23 maggio Biondi decide di recarsi nello studio Rizzo per affrontare il problema. In gioco entra nuovamente Musmeci ma la questione diventa più complicata del solito. Qualcuno non ha intenzione di sistemare quelle carte e nemmeno l’ipotesi di pagare sembra essere percorribile. Il tempo intanto stringe. «Non siamo pronti a pagare 70mila euro tutti in una volta», replica Biondi. Alla fine la «regolarità fiscale» almeno sulla carta viene raggiunta ma soltanto grazie, almeno secondo la procura, attraverso un episodio di abuso d’ufficio e falso ideologico. In cui sarebbe stato attestato, nei tempi utili, l’adesione della cooperativa al risanamento del debito nei confronti di Riscossione Sicilia. 


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