Dissesto, ecco le motivazioni della Corte di Roma Con quei numeri era «impossibile un esito diverso»

«La situazione finanziaria del Comune non avrebbe consentito una diversa soluzione». Manca poco al Natale 2018 quando i giudici delle Sezioni riunite della Corte dei Conti mettono nero su bianco le motivazioni con le quali rigettano il ricorso di Palazzo degli elefanti. Il 20 dicembre 2018 è passato un mese e mezzo dal giorno in cui il dispositivo, pronunciato dopo l’ultima udienza a Roma, pone fine a una questione lunga anniil municipio etneo è in dissesto. E non ci sono norme, aiuti ed emendamenti ad liotrum che tengano. Adesso però che le motivazioni dei giudici romani vengono rese note, c’è poco spazio per i numeri e tantissimo per la burocrazia.

Salta all’occhio, per esempio, che il secondo grado della magistratura contabile chiuderebbe la discussione già al primo paragrafo: quando, cioè, spiega che all’inizio del 2018 Palazzo degli elefanti aveva annunciato il desiderio di accedere a una nuova rimodulazione del piano di riequilibrio economico-finanziario, senza però essere riuscito a portare il documento in aula. Sono i primi mesi del 2018, la campagna elettorale è praticamente già cominciata e la maggioranza dell’allora sindaco Enzo Bianco somiglia tanto a una stampella di legno piena di tarme. Quando l’ex assessore al Bilancio Salvo Andò prova a proporre l’ennesima rimodulazione, quindi, in molti sanno già che quella delibera non riuscirà a passare dal voto di un’aula consiliare ridotta alla conta per il mantenimento del numero legale (che effettivamente non si raggiunge). 

In questi casi, dicono i giudici, sarebbe bastato dare un’occhiata alla giurisprudenza: in altri pronunciamenti delle stesse Sezioni riunite, precisano i magistrati di Roma, il solo fatto che un’amministrazione pubblica dichiari l’intenzione di rimodulare il piano «determina ex lege la decadenza del precedente piano di riequilibrio» e fa scattare il conto alla rovescia per la presentazione della nuova versione e per l’approvazione in Consiglio comunale. Tutti passaggi che all’inizio del 2018 sono saltati e che sarebbero bastati per motivare il dissesto, quasi senza aspettare un ulteriore anno. 

Il collegio delle Sezioni riunite, a ogni modo, viste le pagine spese dalla procura generale della Corte dei conti e dal Comune di Catania, non si ferma qui e va avanti. Spiegando, intanto, che il municipio non avrebbe potuto usufruire del salva-Catania nonostante l’avvenuto accertamento del dissesto economico-finanziario. Dicono i giudici: se si potesse tornare indietro a default già avvenuto, si metterebbe «in crisi tutto il sistema e si porrebbero seri dubbi sulla costituzionalità della norma». Che finirebbe per premiare, «in maniera irrazionale», gli inadempienti. Per fare un esempio concreto (e geograficamente vicino): se Catania avesse evitato il dissesto grazie a una frase in un emendamento ad hoc, che avrebbe detto il Comune di Giarre che ha dovuto deliberare il fallimento poco prima dell’estate, quando già la città dell’elefante piangeva lacrime di sangue?

«Per completezza di motivazione», inoltre, le Sezioni riunite studiano i bilanci. E non trovano la documentazione relativa ai rapporti tra il Comune e le società partecipate negli anni 2015 e 2016, anni per i quali l’amministrazione non avrebbe previsto alcun fondo apposito destinato a ripianare eventuali perdite. Che ci sono e si attestano intorno ai 65 milioni di euro. Senza contare gli ormai famosissimi debiti fuori bilancio: a parte quelli non ricompresi nel piano originario, ne sono spuntati altri anche dopo la rimodulazione del 2016 (quella firmata dall’ex assessore Giuseppe Girlando) e nel corso del 2017. Vicenda a cui si aggiungono gli accordi con i creditori che non sono stati chiusi, anche per via della mancata approvazione dell’importo corrispettivo in Consiglio comunale. 

Un esempio di questo meccanismo è il debito legato alla ex moglie di Enzo Bianco, tra i proprietari dei terreni sui quali è stato costruito il parcheggio Due obelischi. Maria Antonietta Zeno, la consorte dei tempi che furono, e altri (suoi parenti e non) avanzavano circa dieci milioni di euro. Ma nell’aula consiliare quel debito non è stato votato, il pagamento non è cominciato e dai dieci milioni delle origini si è arrivati ai quasi venti milioni di oggi. Storia nota, questa, come le altre. Come la crisi di liquidità e il costante ricorso alle anticipazioni dalla Cassa depositi e prestiti e dalla Regione Siciliana. Ritornelli ormai cristallizzati e diventati parte della storia dell’ultimo quinquennio della città.


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