Delitto Gullotti, condannati fratelli Montagno Bozzone «L’uccisione segnò la spaccatura nei clan di Bronte»

Il sigillo numero due. Ergastolo per Francesco Montagno Bozzone e 22 anni per il fratello Mario. A cui sono state riconosciute le attenuanti generiche. Si conclude così il processo d’appello per l’omicidio di Giuseppe Gullotti. Morto nel 2006, quattro anni dopo l’agguato mafioso in cui rimase coinvolto. In primo grado la corte aveva condannato entrambi i fratelli al massimo della pena. Dietro il fatto di sangue si sarebbe consumata la corsa alla supremazia mafiosa nel territorio dell’Etna. Ponendo come antagonisti sul palcoscenico criminale il clan del boss Ciccio Montagno, vicino ai Carcagnusi di Santo Mazzei, e quello di Salvatore Catania, storico affiliato alla famiglia di Cosa nostra dei Santapaola-Ercolano. La vittima, nota alle forze dell’ordine per la vicinanza alla mafia locale e in particolare alla cosca di Catania, venne bloccata da un commando mentre attraversava un ponte stradale a cavallo tra i territori di Cesarò e Bronte

A bordo del suo fuoristrada Gullotti viaggiava in compagnia di due persone – una di queste era il figlio – entrambe rimaste illese nella sparatoria. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, il mezzo venne bloccato grazie a una macchina Audi, poi risultata rubata a un vigile urbano in servizio a Catania. Gullotti con la strada sbarrata sarebbe stato costretto a fermarsi ritrovandosi faccia a faccia con due persone con il volto coperto e con in mano un fucile calibro 12 caricato a pallettoni. Sparati i primi colpi, il pastore tentò la fuga nonostante le ferite, percorrendo il ponte in retromarcia. Durante la manovra i sicari sarebbero comunque riusciti a raggiungerlo nuovamente, sparandogli ancora ma senza riuscire a ucciderlo sul colpo. La macchina venne poi ritrovata abbandonata con dentro alcuni guanti e una parrucca. Gulloti, invece, morì quattro anni dopo, trascorsi tra numerosi interventi chirurgici e lunghe degenze ospedaliere

Per arrivare ai fratelli Montagno e al loro ruolo l’accusa si è basata una serie di intercettazioni ambientali, le stesse che la difesa a più riprese ha bollato come non utilizzabili. «Ciccio Montagno – scrivevano i giudici nella sentenza di primo grado – fu componente del gruppo di fuoco. Mario Montagno – aggiungono – diede il proprio apporto seguendo i movimenti della vittima per coglierne le abitudini e individuare il momento propizio per l’agguato».

In una delle intercettazioni finite agli atti dell’inchiesta gli inquirenti annotarono anche il presunto racconto della fase preparatoria. «Io ero con il cannocchiale che guardavo tutte cose», raccontava Mario Montagno al suo interlocutore. Nella primavera del 2000, Ciccio Montagno era rimasto vittima di un agguato mentre si trovava seduto in un bar di Bronte. Un nuovo tentativo di ucciderlo si registrò un anno dopo, nel novembre 2001. Tra coloro che spararono anche Claudio Reale – figlio della convivente di Gullotti -, poi condannato insieme ad Antonino Triscari e Daniele Gagliolo Salvà


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