Palermo, pericolo al centro Padre Nostro I volontari: «L’eredità di don Pino dà fastidio»

Nuovo gesto intimidatorio contro il centro Padre Nostro fondato nel 1991 da padre Pino Puglisi, nel quartiere di Brancaccio, a Palermo. Ieri mattina, intorno alle 12, una bombola di gas è stata rinvenuta davati all’ingresso dell’auditorium Giuseppe Di Matteo, nella sede operativa di via San Ciro, dove si svolgono gran parte delle attività del centro punto di riferimento per i bambini di uno tra i rioni più a rischio della città. Ad accorgersi della bombola è stata una signora che abita di fronte all’edificio. Dopo la segnalazione della vicina, i volontari hanno avvisato le forze dell’ordine, che hanno avviato un’indagine. «La polizia ha prelevato la bombola per fare tutti gli accertamenti del caso – racconta Mariangela D’Aleo, responsabile della sede operativa della onlus – Fortunatamente siamo intervenuti in tempo e non è successo niente».

Un segnale che lascia poco spazio ai dubbi sulla sua origine, e che arriva a pochissimi giorni dall’annuncio della prossima beatificazione di padre Puglisi, famoso per il suo impegno di recupero e sostegno per i ragazzini disagiati ed emarginati del quartiere Brancaccio, per i quali lottava per salvarli dal rischio di reclutamento da parte della malavita locale. Per questo il prete è stato ucciso da Cosa Nostra il 15 settembre 1993, il giorno del suo 56esimo compleanno. A ordinare l’omicidio, commesso da Salvatore Grigoli, furoni i boss Giuseppe e Filippo Graviano, infastiditi dall’attività di don Pino e del centro Padre Nostro sul territorio di loro pertinenza. Un simbolo dell’antimafia beatificato perché vittima di mafia. E che continua a dare fastidio. Una coincidenza su cui però i volontari del centro non vogliono ancora pronunciarsi. «Non sappiamo se le due cose sono collegate, né se è stata un’intimidazione di tipo mafioso», afferma D’Aleo. «Certo è che una bombola lasciata davanti ad un edificio è un segnale abbastanza chiaro, ma in questo momento non ce la sentiamo di etichettarlo come tale. Ci affidiamo alle indagini».

Non è la prima volta che la onlus ha a che fare con la presenza di un possibile ordigno. Nell’ottobre 2011, infatti, un’altra bombola di gas aperta era stata lasciata da ignoti davanti alla sede legale dell’associazione, in via Brancaccio 461. Ieri è successo di nuovo, ad appena dieci giorni di distanza da un raid all’interno del centro polivalente sportivo Padre Pino Puglisi & Padre Massimiliano Kolbe, a pochi passi dall’auditorium. «Non è certamente il primo che il centro subisce dalla sua nascita ad oggi», commenta la responsabile. Furti e danneggiamenti accompagnano il centro sportivo dal prima dell’inaugurazione, avvenuta il 31 maggio 2011. «Sono entrati di notte per tagliare tutti i fili elettrici e hanno rubato un furgone». Tutti gesti che colpiscono l’attività dei volontari per la gente, sul territorio. E che non si limitano alle ultime settimane. «In 19 anni di lavoro abbiamo subito tanti danni – racconta Mariangela – perché operiamo in una quartiere chiuso e disagiato, terreno fertile per il malaffare. Non sono i danni materiali a preoccuparci, ma i disagi e sopratutto il pericolo per le persone – bambini a rischio, ma anche anziani e adulti in difficoltà – che vengono da noi ogni giorno», si rammarica.

La sera prima del ritrovamento della bombola, su Rai 1 era andato in onda uno speciale sulla vita di padre Pino Puglisi, «Lascia perdere chi ti porta a mala strada». Un’altra coincidenza, che però non intimidisce chi lavora al centro Padre Nostro. «Una ragazzata che ci fa comprendere che dobbiamo continuare su questa strada perché non abbiamo ancora raggiunto tutti con il messaggio e gli insegnamenti del Beato Puglisi», scrive il presidente dell’associazione Maurizio Artale in una nota. Dello stesso parere anche i volontari, che non hanno dubbi: «L’eredità che ci ha lasciato padre Puglisi è fatta di onori, ma anche di oneri», afferma Mariangela. «Lavoriamo sul territorio e sappiamo che quallo che facciamo può non piacere a chi vuole esercitare un controllo. Le logiche territoriali purtroppo funzionano così – continua la giovane – ma Brancaccio non è solo questo. Noi andiamo avanti e facciamo la nostra parte per dare ai ragazzi del quartiere un’alternativa e la possibilità di scegliere». Come diceva don Pino «se ognuno fa qualche cosa, allora si può fare molto». Anche contro la mafia.

 [Foto di Google Street View]


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