Mafia, carabiniere pagato per le informazioni al clan Nell’inchiesta Gisella affari tra Misterbianco e Motta

Avrebbe bruciato l’identità di alcuni confidenti, oltre a fornire le giuste dritte per evitare i controlli dei carabinieri. Tutto dietro mazzette. Per gli investigatori, Gianfranco Carpino, in servizio nella stazione dei militari di Motta Sant’Anastasia ma oggi sospeso, avrebbe fatto il doppio gioco. Da un lato i favori al clan mafioso locale, dall’altro la fedeltà alla fiamma a tredici punte, simbolo dell’Arma. Il suo è soltanto uno dei nomi che fanno parte della lista degli arrestati dell’operazione Gisella. Portata a termine dai carabinieri su mandato della Direzione distrettuale antimafia. Sotto la lente d’ingrandimento gli affari nei territori di Misterbianco e Motta Sant’Anastasia della cosca dei Nicotra, storicamente conosciuti come Tuppi, che in dialetto siciliano equivale alla parola chignon. Segno distintivo dell’acconciatura dello storico patriarca Mario Nicotra, ucciso nel maggio 1989 nel suo bar a Misterbianco, durante la guerra di mafia con i rivali del clan Malpassotu, capeggiati da Giuseppe Pulvirenti.

Nel nuovo organigramma il ruolo di capo sarebbe spettato a 
Gaetano Nicotra, detto lo zio Tano, fratello del boss defunto negli anni ’90. Con lui ci sarebbero stati il nipote Antonio Tony Nicotra e il giovane fratellastro di quest’ultimo, anch’egli all’anagrafe registrato come Gaetano Nicotra. Ma il vero braccio destro del capo sarebbe stato il fidato Antonino Rivilli detto grilletto d’oro. Indicato dagli affiliati del gruppo di Motta Sant’Anastasia con il nome in codice Gisella. Secondo la ricostruzione degli inquirenti tra i due gruppi si sarebbe creata un’asse criminale. In cui i Nicotra sarebbero a più riprese intervenuti per risolvere problemi. A marzo 2017, quando Rivilli viene scarcerato dopo un arresto risalente al 2013, nella sua abitazione a Misterbianco si recano diversi pregiudicati. Uniti nel festeggiare il ritorno in libertà con tanto di fuochi pirotecnici sparati in strada

Il vero punto di non ritorno dell’inchiesta è però la ricostruzione dell’omicidio di
Paolo Arena. Plenipotenziario della Democrazia cristiana misterbianchese, vicino alle posizioni di Giulio Andreotti e Nino Drago, ucciso mentre si recava in municipio il 28 settembre 1991. Dietro ai colpi di fucile che gli vennero sparati al petto ci sarebbe stata la mano di Luciano Cavallaro. Sicario reo confesso che dal 2016 ha iniziato a collaborare con i magistrati. Nel commando di fuoco insieme a lui ci sarebbe stato un secondo uomo. Ma la sua identità, almeno per il momento, non è stata rivelata. «Servono altri riscontri ma siamo sulla strada giusta», spiega durante la conferenza stampa il procuratore capo Carmelo Zuccaro. Ad avere un nome è invece il presunto mandante del delitto. «Si tratta di Gaetano Nicotra (il fratello del boss, ndr)», continua il magistrato. 

Vicesindaco, assessore ai Lavori pubblici, consigliere comunale e dipendente dell’allora Azienda sanitaria 35. Arena sarebbe stato «
un politico corrotto». E per questo motivo finito tra coloro da punire. Imperdonabili i suoi favoritismi nel settore degli appalti, dopo l’uccisione di Mario Nicotra, al clan Pulvirenti. Per ricostruire con precisione i retroscena gli investigatori si sono affidati anche all’analisi di un vecchio pizzino. Una lista di nomi appuntata su carta e recuperata tra gli atti del maxi processo di Firenze, dove i Nicotra finirono imputati dopo la fuga in Toscana da Misterbianco. Inevitabili, durante la conferenza stampa, anche i riferimenti all’ex pentito Orazio Pino, ucciso la scorsa settimana in provincia di Genova. Alle sue spalle la lunga e sanguinosa militanza nel clan Pulvirenti, in cui ha rivestito la carica di luogotenente. Il procuratore Zuccaro cerca di minimizzare ma sono chiari i contatti con i colleghi magistrati liguri. Anche perché Pino in alcune interviste prima di morire aveva fatto trapelare le sue perplessità per la riorganizzazione militare del clan che aveva osteggiato da criminale. 

A
Motta Sant’Anastasia, invece, a comandare sarebbe stato Daniele Distefano. Specializzato con il suo gruppo, secondo l’accusa, nei furti con cavallo di ritorno di mezzi agricoli tra le province di Catania ed Enna. Trascorsi tre giorni senza che qualcuno avesse fatto richiesta di restituzione il clan avrebbe proceduto alla vendita dei veicoli mediante l’intermediazione di soggetti specializzati, individuati dallo stesso Distefano o dal suo braccio destro Filippo Buzza. Nell’inchiesta c’è anche un risvolto patrimoniale. Perché gli indagati avrebbero rilevato alcune società, come la macelleria di Piano Tavola il cui gestore era sottoposto a usura ed estorsione, tanto da costringerlo a scappare nell’isola di Malta. Altra attività è il night Red lips, locale d’intrattenimento mascherato da associazione culturale. I sigilli sono scattati per beni con un valore complessivo di un milione e mezzo di euro


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