Nelle carte dell'inchiesta Gisella, dal sopranome di Antonio Rivilli, emergono i conflitti all'interno della cosca mafiosa. In un contesto in cui, oltre a un carabiniere accusato di corruzione, si sarebbero concentrati i sospetti su un presunto confidente
Beghe e affari dei Nicotra a Motta Sant’Anastasia Il boss ordinò di restituire i giubbotti a un negozio
«Chiacchierano assai e sono infamuni». Se c’è una certezza all’interno del clan mafioso Nicotra è quella che gli affiliati a Motta Sant’Anastasia non godevano di una stima elevata. Tanto che dopo la scarcerazione di Tony Nicotra, il 17 febbraio 2017, ci si sarebbe organizzati con l’obiettivo preciso di mettere ordine in mezzo a quei ragazzi poco inclini a rispettare le gerarchie. «Su due lavori che fanno, me ne hanno dato solo uno. Poi si acchiappano (litigano, ndr) tra di loro e me lo vengono a raccontare di pomeriggio», si lamentava Antonio Rivilli. Riconosciuto dagli investigatori come uno dei capi bastione della mafia a Motta Sant’Anastasia, Rivilli più volte è stato costretto a buttare acqua sul fuoco per evitare di vederli «quanto prima stampati sul giornale». Particolari e retroscena che emergono dalle carte dell’inchiesta Gisella che, nei giorni scorsi, ha portato a 26 arresti tra gli eredi dello storico boss, ucciso nel 1989, Mario Nicotra detto u Tuppu.
Il nuovo corso del clan tra Misterbianco e i vicoli della cittadina medievale era stato sancito con l’ingresso dei Nicotra nella cosca di Cosa nostra dei Mazzei. Un matrimonio di mafia risalente al 2010, «formalizzato direttamente da Nuccio Mazzei», spiegava ai magistrati in un verbale Luciano Cavallaro. Lo storico killer arrestato l’ultima volta per rapina, poi passato dal lato dello Stato come pentito. Nei suoi racconti, Rivilli viene tratteggiato come un pezzo grosso, capace di occuparsi anche delle «nuove affiliazioni». La peculiarità del gruppo mottese sarebbero stati i furti di mezzi agricoli con cavallo di ritorno. Nei documenti, l’elenco comprende numerosi episodi. Ma in mezzo c’è una storia con sfumature grigie in cui si mischia la presunta corruzione del carabiniere Gianfranco Carpino, accusato di essere a libro paga del clan, e quella di sospetto confidente delle forze dell’ordine di un affiliato di primo piano. Un soggetto, precisa il pentito, «di cui mi è stato detto di non fidarmi, poiché puzzava. Lasciandomi intendere che faceva la spia». La parte successiva del verbale è omissata. Al vertice del gruppo di Motta ci sarebbe stato Daniele Distefano, da tutti conosciuto con il sopranome di minnitta. Tra i suoi collaboratori il fratello Filippo e un piccolo gruppo di soldati: Domenico Agosta, il fratello Emanuele, Gaetano Indelicato, Francesco Spampinato e Giuseppe Piro.
La sottomissione dei mottesi al clan di Misterbianco spesso sarebbe rimasta solo nelle intenzioni. Nell’estate 2017 Rivilli, accompagnato da Gaetano Nicotra, è costretto a recarsi nel quartiere catanese di Monte Po. Nella ricostruzione degli inquirenti, si sarebbe dovuta sistemare una «brutta figura» con il boss Claudio Strano. «Gli devi dire che non devono andare nemmeno a pisciare se prima non lo fate presente […] perché devono capire che loro senza noi altri nemmeno la O con il bicchiere possono fare». Tra i più attivi a Motta Sant’Anastasia ci sarebbe stato Domenico Agosta. Il pentito Cavallaro, senza giri di parole, lo definisce «il braccio destro di Rivilli». Tra gli episodi finiti negli atti, c’è anche una rapina dell’ottobre 2016 a un noto negozio d’abbigliamento tra le vie di Misterbianco. Con il titolare che era già sotto estorsione, almeno secondo il pentito Cavallaro. Un danno quantificato in 16mila euro che avrebbe spinto Rivilli a ordinare ad Agosta di mettersi in azione per recuperare giubbotti e vestiti. Poi ritrovati nel quartiere San Giorgio, a Catania. Il titolare, vittima da un lato e protetto dal clan Nicotra dall’altro, davanti alla restituzione della refurtiva, contenuta in un sacco, si sarebbe «priatu», ovvero compiaciuto.
Agosta, insieme al fratello Emanuele, compare pure in due casi di presunta intestazione fittizia. Da un lato la macelleria Bottega delle tre carni, nella frazione di Piano Tavola, e dall’altro il night Red Lips all’ingresso di Motta Sant’Anastasia. Nel primo caso, secondo la ricostruzione degli inquirenti, il vecchio proprietario sarebbe stato costretto a scappare a Malta. Gli affari con il nuovo corso targato Nicotra-Rivilli, almeno secondo l’accusa, sarebbero cominciati a gonfie vale. «Hai aperto oggi e senza che le persone ti conoscono fai mille euro. Già è una vittoria», commentava Rivilli rivolgendosi a Nicotra. Prospettandogli anche la possibilità di aprire un locale al porto di Catania. «Vogliono crescere. Hai capito? Vogliono crescere». I due, in un passaggio ulteriore, benedicevano pure l’assunzione di un noto macellaio del posto: «Mastro Antonio è uno con i contro coglioni».