Vittorio Emanuele, lo sguardo dei residenti sul futuro «Le istituzioni aprano con noi un tavolo di confronto»

Un sondaggio tra i residenti, una visita guidata per mostrare ai cittadini l’interno del complesso ospedaliero, un comitato civico che chiede alle istituzioni di essere ascoltato. Il futuro dell’ospedale Vittorio Emanuele (Ove) di via Plebiscito è un’incognita la cui risposta deve essere scritta in modo partecipato. Lo sostengono le decine di persone che ieri mattina hanno partecipato alla passeggiata di quartiere organizzata dal comitato D’Ove – Ripensare la città, con il supporto dell’associazione Officine culturali che si è occupata del tour. Un piccolo viaggio per osservare da vicino un luogo che, dalla dismissione del pronto soccorso a oggi, è stato al centro del dibattito pubblico. E politico. Venerdì il presidente della Regione Nello Musumeci ha rilanciato l’idea del polo museale, ma la sensazione degli addetti ai lavori è che al di là delle dichiarazioni ci sia di più. Per esempio un’interlocuzione più serrata, soprattutto ultimamente, tra Palazzo d’Orleans e l’università di Catania, convitata di pietra in un ragionamento che, per forza di cose, deve passare anche dal ruolo dell’ateneo nell’eventuale riconversione dell’area

«Il punto non è che cosa fare del Vittorio Emanuele – spiega Francesco Mannino di Officine culturali – il punto è, come sempre, quali servizi offrire e per rispondere a quali esigenze. Non si possono trovare risposte semplici a problemi complessi, e probabilmente quello dell’Ove ha una soluzione difficilissima». Colpa, o merito, della collocazione geografica: al centro del quartiere Antico corso, su via Plebiscito, a due passi dall’ospedale Santo Bambino ormai vuoto, collegato con un ponte post-colata lavica all’ex Monastero dei Benedettini e, quindi, al dipartimento di Scienze umanistiche dell’università. In pratica, il cuore di un intero quartiere, fino a poco tempo fa pulsante di una vita che rischia di spegnersi. «Il Vittorio Emanuele era una pietra d’inciampo», interviene Salvo Castro, del comitato Antico corso e tra gli animatori del gruppo D’Ove.

«Noi non abbiamo una risposta sul futuro dell’area dell’ospedale. Altrimenti saremmo come i tanti che dicono cose a caso, solo perché magari ci sono dei soldi da spendere – commenta Castro – mentre noi vogliamo che venga aperto un tavolo di confronto e, soprattutto, che si cerchino soluzioni per il riutilizzo immediato, anche se temporaneo, delle strutture». Dialogando anche con l’università di Catania, senza dimenticare le responsabilità storiche dell’istituzione accademica. «Per molto tempo, nel quartiere l’ateneo si è comportato come un immobiliarista – afferma Elvira Tomarchio, anche lei del comitato – Poi, però, ha lasciato il vuoto». Ancora una volta, il senso è chiaro: se si vuole ripensare il Vittorio Emanuele, bisogna farlo partendo anche dalle proposte dei fruitori del quartiere.

I residenti, dal canto loro, le idee le hanno chiare. Almeno sulla base di quello che sta emergendo dalle interviste realizzate da Lorenzo Caltabiano, Davide e Chiara Castro. Tre giovanissimi che hanno deciso di partire dalle opinioni dei cittadini per formarsi un’idea sullo sviluppo di quella porzione di territorio. «Ci stiamo concentrando su via Osservatorio e via Plebiscito – spiega Lorenzo, 26 anni, sociologo, appena tornato da un periodo di ricerca a Utrecht – Vogliamo fare arrivare le voci dei residenti alle istituzioni e ai media: pensiamo che ci sia bisogno di andare oltre i soliti intellettuali che suggeriscono soluzioni senza conoscere i contesti sociali e urbani». Le prime risposte sono state «sorprendenti: il livello di conoscenza rispetto a quanto sta accadendo all’ospedale Vittorio Emanuele è altissimo. Così come la consapevolezza rispetto al futuro: il timore diffuso è che, se non si fanno proposte di uso intermedio e uso finale della struttura, l’Ove e il Santo Bambino diventino luoghi di degrado e criminalità. Per questo c’è anche grande apertura rispetto alle destinazioni future». Un esempio? «Una donna ci ha detto che potrebbero diventare centri per l’assistenza ai cittadini stranieri. Una dimostrazione ulteriore di quanto la gente sia, spesso, molto più avanti della politica».


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