Siracusa, relitto della GelsoM ancora in mare Recupero rischioso per ambiente e cittadini

Per turisti e passanti curiosi è divenuta ormai un’attrazione. Una fonte di pericolo da rimuovere il prima possibile, invece, secondo tecnici e ambientalisti. Sono trascorsi cinque mesi dal violento ciclone che ne causò il naufragio, ma la nave cisterna Gelso M resta ancora arenata sugli scogli di Santa Panagia, in uno dei tratti più suggestivi della costa siracusana. Ad aggiudicarsi l’appalto per la sua rimozione, la Neri di Livorno e la locale Augustea. Le due aziende hanno già presentato il progetto d’intervento che prevede il taglio in più parti della nave, da effettuarsi direttamente in mare. Un’operazione rischiosa che potrebbe arrecare sensibili danni all’ambiente e agli abitanti del vicino quartiere Mazzarrona.

Poteva essere un disastro ambientale di portata notevole, scampato per una serie di circostanze fortuite. «Se quella nave si fosse incagliata qualche grado più a ovest sarebbe finita sul pontile della raffineria Isab sud – ricorda Enzo Parisi di Legambiente Sicilia – Con tutte le conseguenze che potete immaginare».  Il caso, inoltre, ha voluto che la petroliera fosse scarica – tecnicamente, in zavorra – e lo squarcio, prodotto dall’urto contro la scogliera, avvenisse a prua, lontano dal serbatoio pieno di carburante. «Dopo circa un mese e mezzo dall’incaglio, la nave è stata completamente bonificata, sia all’interno che all’esterno», assicura il comandante della Capitaneria di porto di Siracusa Luca Sancilio. Le operazioni di estrazione del combustibile – 378,4 i metri cubi recuperati – sono state condotte dalla società Smit Salvage di Rotterdam, la stessa impegnata nel difficile recupero della Costa Concordia presso l’isola del Giglio.

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L’Arpa, impegnata nel monitoraggio continuo del tratto di mare antistante l’imbarcazione, ha finora escluso fenomeni di contaminazione delle acque. Ma nel lungo periodo, a sentire i tecnici, la situazione potrebbe degenerare. «Anche se è stata portata via la gran parte delle sostanze pericolose, quella nave da lì va tolta perché inquina attraverso la disgregazione dei materiali di cui è composta», spiegano dagli uffici dell’Arpa di Siracusa. « In vista delle prossime mareggiate potrebbe perdere pezzi e rappresentare un potenziale rischio per la navigazione», aggiunge Enzo Parisi.

Al momento, per ragioni di sicurezza e di tutela della pubblica incolumità, nel raggio di mezzo miglio dal relitto – circa 800 metri – «sono vietati il transito, l’ancoraggio, le attività di pesca in qualsiasi forma», come prescritto da un’apposita ordinanza della Capitaneria di porto. Un divieto da molti trasgredito, come testimonia la presenza di diportisti che, nell’intento di scattare qualche foto al grosso natante, si spingono fin sotto costa. Difficile tenere a distanza i curiosi anche da terra. «Qui è un via vai continuo di gente», commentano i vigilanti dell’istituto privato La Folgore che, su disposizione del prefetto, presidiano notte e giorno la petroliera. Il promontorio roccioso è attraversato da una lunga e panoramica pista pedo-ciclabile – molto frequentata, specie dagli sportivi – che procedendo verso ovest porta all’antica tonnara di Santa Panagia, attiva sino agli anni ’50, sullo sfondo del polo petrolchimico siracusano.

Le modalità scelte per la rimozione, in base al piano prodotto dalla Neri e dall’Augustea prevedono il taglio del relitto a mare, direttamente in loco, per il successivo smaltimento. A destare preoccupazione sono soprattutto le potenziali ricadute ambientali dell’intervento. «Il taglio potrebbe generare dei frammenti di metallo che andrebbero a depositarsi sul fondale marino», sostengono i tecnici dell’Arpa siracusana che, in proposito, hanno già inoltrato una richiesta di chiarimenti alle aziende coinvolte. Da non sottovalutare nemmeno i possibili danni per la salute dei cittadini: il sistema a catene, che verrà utilizzato da una piattaforma galleggiante per sezionare il metallo, rischia di generare polveri che raggiungerebbero i residenti della Mazzarrona. Un quartiere densamente popolato che si affaccia proprio sulla baia di Santa Panagia. «Sarà un’operazione molto rumorosa – concludono dall’Agenzia – E bisognerà valutare quale potrà essere l’impatto sulle popolazioni».

Il progetto d’intervento è adesso al vaglio di tutti gli enti pubblici competenti: dalla Capitaneria di porto all’Arpa, passando per Asp e Provincia. Una trafila burocratica che include anche il parere del ministero dell’Ambiente, trattandosi di un’area compresa nel Sin (sito d’interesse nazionale per le bonifiche) di Priolo. «Stimiamo che l’iter autorizzativo durerà circa un mese e mezzo – dichiara Giovanni Di Pasquale, dirigente dell’Augustea – Dopodiché si dovrebbe partire con i lavori». Nell’attesa, sul versante delle indagini volte a ricostruire la dinamica dell’incidente navale, il nodo da sciogliere per gli inquirenti riguarda soprattutto le responsabilità dell’accaduto. «Su questo fronte, l’inchiesta della procura della Repubblica sta andando avanti», riferisce il comandante Sancilio. «E’ la prima volta che accade un incidente del genere accanto ai porti dove esistono servizi di sicurezza – conclude Parisi – Ed è importante approfondirne le cause e mettere in atto le misure preventive, per evitare che si ripeta in futuro».


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La petroliera si era incagliata cinque mesi fa sugli scogli di Santa Panagia. L'impatto, poco lontano dalla raffineria Isab e a cisterne vuote, non si è trasformato per poco in un disastro. Adesso, a preoccupare gli esperti e a incuriosire i passanti, è la permanenza della nave in mare. Per la sua rimozione passerà ancora del tempo. «Il taglio potrebbe generare dei frammenti di metallo che andrebbero a depositarsi sul fondale marino», avvertono i tecnici nell'Arpa. E nei polmoni dei residenti

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