Caltagirone, l’eco-idea di un ceramologo «Riciclare i cocci per abbellire le città»

«Non ho inventato niente, la mia è un’idea eterna. Prima non si buttava nulla e tutto diventava utile». Un principio sempre valido e a cui sarebbe bene tornare a ispirarsi, soprattutto in tempo di crisi. Parte da qui la proposta di Antonino Navanzino, 35 anni, ceramologo di Caltagirone: riciclare i cocci di ceramica decorata per abbellire le città, a partire dalla sua. Un’idea a costo zero per l’amministrazione comunale, «che mi ha già dimostrato la sua sensibilità», racconta. Muri grigi trasformati dai tipici colori delle ceramiche siciliane, piazze impreziosite da mosaici, persino percorsi cromatici per i turisti. «Con la crisi bisogna pensare a proposte semplici – dice Navanzino – E la ceramica si può riciclare all’infinito». Per usi e con metodi diversi, spesso con il valore aggiunto della creazione artistica.

Un’impresa ceramista di famiglia e una cattedra all’accademia di Belle arti di Siracusa, Navanzino ha già pensato a tutto. L’ispirazione è venuta dall’esperienza. «Solo a Caltagirone ci saranno un centinaio di botteghe che lavorano la ceramica – dice – Il cinque per cento della produzione, però, subisce dei danni: come un vaso che può andar bene quando lo decoriamo, ma poi si spacca in forno». Se la crepa è lieve, tutto si aggiusta. Ma nel due per cento dei casi, calcola Navanzino, l’opera può rompersi e i cocci finire nell’immondizia. «La legge ci impone di smaltirli come rifiuti speciali – continua – che vengono ritirati una volta all’anno e vanno a finire al macero». Uno spreco di materiali e un costo per l’impresa che potrebbero essere evitati. Ad esempio raccogliendo gli scarti della produzione e riciclandoli. «Alle ditte che si occupano di raccolta dei rifiuti vengono spesso dati degli incentivi per la promozione del riciclaggio – aggiunge Navanzino – Anziché spenderli per fare calendari o gadget simili, perché non distribuire dei fusti per raccogliere i cocci?».

La questione tecnica del riciclo della ceramica, secondo il ceramologo, è semplice. Se si tratta di scarti provenienti da oggetti piatti, niente di più facile che utilizzarli per creare dei mosaici cittadini. «Abbellire così i muri grigi di ingresso alla città oppure le piazze. Con appositi progetti realizzati da architetti, ingegneri o dalle stesse botteghe artigiane». Bozze da far realizzare «con piccoli finanziamenti, magari a muratori disoccupati». Ha pensato proprio a tutto Navanzino. Che sogna in grande: «Si potrebbero creare nei marciapiedi dei percorsi turistici cromatici – spiega – Utilizzando i cocci per creare mosaici in verde, blu o giallo, i colori tipici delle ceramiche siciliane». Un’apposita legenda spiegherebbe ai turisti che il percorso verde li porterà tra gli edifici barocchi di Caltagirone. Quello blu tra il neogotico. E così via. L’arte di ceramica che diventa arte di strada. «Lo facevano già gli aztechi e in altri paesi europei si continua con successo», dice fiducioso Navanzino. Come il Portogallo e la Grecia, ma soprattutto la Spagna, patria delle policromie di Antoni Gaudì.

Caltagirone come Barcellona? E’ possibile anche di più, secondo l’esperto. «Anche gli oggetti concavi, più difficili da utilizzare, possono essere riciclati – spiega – La ceramica, se messa in forno a 1800 gradi, torna allo stato vetroso. Se posta in appositi stampi e con l’aggiunta di altri materiali, può diventare una mattonella». Così come la terracotta, sminuzzata, può sostituire a costo zero le pietruzze bianche caratteristiche dei giardini pubblici. «In momenti come questi – conclude Antonino Navanzino – devono essere le stesse aziende a rendersi utili».

[Foto di my stification]


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Il due per cento della produzione artistica del centro siciliano finisce al macero. Basterebbe poco per riutilizzarlo: creando mosaici che colorino i grigi muri cittadini, trasformando le piazze o guidando i turisti in appositi percorsi culturali cromatici. Parola di Antonino Navanzino, una ditta di famiglia nel settore e una cattedra all'accademia di Belle arti di Siracusa. Che spiega: «Non ho inventato niente, lo facevano già gli aztechi». Così come oggi greci, spagnoli e portoghesi

Il due per cento della produzione artistica del centro siciliano finisce al macero. Basterebbe poco per riutilizzarlo: creando mosaici che colorino i grigi muri cittadini, trasformando le piazze o guidando i turisti in appositi percorsi culturali cromatici. Parola di Antonino Navanzino, una ditta di famiglia nel settore e una cattedra all'accademia di Belle arti di Siracusa. Che spiega: «Non ho inventato niente, lo facevano già gli aztechi». Così come oggi greci, spagnoli e portoghesi

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