Decreto crescita, quei 475 milioni che salvano Catania Così il ministero dell’Interno pensa alla città in default

Articolo 38, titolo: «Debiti enti locali». Nel decreto Crescita del governo – che martedì dovrebbe approdare al voto alla Camera – c’è una parte consistente che è passata alle cronache come il Salva Roma. Per la Capitale amministrata dalla sindaca Cinquestelle Virginia Raggi, è vero, ci sono aiuti di un certo peso. Ma se di quelli si è ampiamente discusso sui giornali e nei salotti politici, decisamente meno si è parlato dei soldi che dovrebbero arrivare a Catania. Circa mezzo miliardo di euro, che dovrebbe provenire da uno degli emendamenti firmati dai relatori Giulio Centemero (Lega) e Raphael Raduzzi (M5s) e, pare, frutto delle sollecitazioni provenienti dall’area di Palazzo degli elefanti sul commissario del Carroccio Stefano Candiani. Perché sebbene nel testo dell’emendamento si parli di aiuti «per il concorso al pagamento del debito dei Comuni capoluogo delle città metropolitane in dissesto alla data di entrata in vigore del decreto legge» è chiaro che il plurale serve a poco. Perché di Comuni con quelle caratteristiche, in Italia, ce n’è soltanto uno: Catania, appunto.

Il decreto legge Crescita non è ancora stato approvato e tutto potrebbe cambiare, nonostante all’apparenza la norma sembri blindata. Secondo i bene informati, il governo è intenzionato a porre la fiducia domani pomeriggio, al momento del voto, in modo da potere rendere operative le norme entro giovedì. Nel frattempo alla formulazione originale – datata 30 aprile 2019 – si sono aggiunti svariati emendamenti. Il fondo da 74,83 milioni di euro annui, dal 2020 al 2048, istituito dal ministero dell’Economia e della finanza per le città metropolitane in dissesto (tra le quali, ovviamente, quella etnea); e soprattutto l’altro stanziamento, enorme, che invece è in capo al ministero dell’Interno. Dalla rinegoziazione favorevole dei mutui di Roma Capitale (i famosi tagli agli interessi delle banche), dovrebbero essere presi i soldi per aiutare Catania a completare il pagamento dei suoi contratti con gli istituti di credito. Si tratta di venti milioni di euro per il 2019 e di «35 milioni di euro annui per ciascuno degli anni dal 2020 al 2033». Soldi che il governo deve prendere tagliandoli da qualche parte: dai finanziamenti del programma Industria 4.0, voluto dall’ex presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, destinati a migliorare la produttività delle imprese nazionali. Adesso, secondo le previsioni del governo giallo-verde, si taglia alle aziende per dare agli enti locali. 

In totale, per i prossimi 14 anni, a Palazzo degli elefanti dovrebbero arrivare 475 milioni di euro direttamente dalle casse dello Stato. A cui poi vanno ad aggiungersi le somme da dividere con gli altri Comuni e l’ulteriore risparmio derivante dalla riduzione degli importi dei contratti per «forniture di beni e servizi», che potranno essere abbassati del 5 per cento, secondo quanto previsto da uno degli emendamenti inseriti en passant nel dl Crescita. Un aiuto più grande perfino di quello erogato dall’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi nei confronti del suo medico personale Umberto Scapagnini, allora primo cittadino etneo.

Per comprendere quanto questo possa aiutare la città, nonostante quel debito da un miliardo e 600 milioni di euro pesi sull’immaginario collettivo e sul Comune come un macigno, basta guardare quanto il municipio paghi di mutui: circa 44 milioni di euro l’anno. La prossima rata (semestrale, quindi i milioni da versare sono la metà, cioè 22) scadrà il 30 giugno 2019. Questo fondo, però, sarà accessibile solo da novembre 2019, almeno stando all’attuale formulazione dell’emendamento. Certo è che Palazzo degli elefanti attende ancora altri aiuti: ci sono quelli, ormai famosi, che devono arrivare dall’anticipazione della Regione Siciliana. Il tempo, però, sta per scadere. Negli uffici del Comune di Catania, al momento, il mantra è uno soltanto: ci saranno altri sei mesi di lacrime e sangue, ma se si resiste, poi, la strada è in discesa. Il punto è tutto là: resistere. Col fiato sul collo dei dipendenti comunali e di quelli delle società partecipate, che temono ritardi e tagli.

Nel libro sul dissesto, c’è poi il capitolo che si sta scrivendo in questi giorni nelle stanze di Palazzo dei Chierici, sede della Ragioneria. Nel 2018 la procura di Catania ha aperto un’inchiesta sul default del Comune: gli uomini della guardia di finanza si sono presentati in municipio la scorsa settimana e adesso qualche dettaglio in più emerge. Sono stati richiesti non solo il piano di riequilibrio pluriennale approvato nel 2013 ma anche tutte le successive delibere di controllo sullo stato di attuazione del programma di risanamento. La polizia economica-finanziaria ha poi richiesto le carte sull’interlocuzione con la Corte dei conti in tutti gli anni successivi: in altri termini, le tirate d’orecchio della magistratura contabile e le risposte formulate dalla passata amministrazione. Il fascicolo è affidato ai magistrati Fabio Regolo e Fabio Saponara, del nucleo che si occupa di vigilare sull’operato degli enti pubblici. A collaborare con loro, anche due super consulenti che, su richiesta di piazza Verga, sono stati inviati a Catania dal ministero dell’Economia.


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